La pro-vocazione delle serie Tv

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Alcuni nodi problematici e una serie di interrogativi che emergono dal flusso inarrestabile filmico-narrativo delle serie Tv.
La pro-vocazione del nuovo genere narrativo viene intesa come ribellione al sistema simbolico tradizionale, ma anche come nostalgica vocazione al recupero dell’umano perduto. La pro-vocazione
delle serie Tv

Dagli anni Duemila la serialità televisiva americana è diventata oggetto di attenzione e ha occupato, a livello globale, e soprattutto nella televisione italiana, uno spazio sempre più ampio nei palinsesti delle reti dedicate e dei canali generalisti. Siamo di fronte a un “nuovo” genere, un inedito modello narrativo, sostanzialmente differente dalle altre forme di fiction, un’arte vera e propria dotata di un linguaggio che la distingue da tutti i modelli che prima imitava.
Di fronte a questo cambiamento si sente l’urgenza di nuove metodologie di ricerca che sfuggano alle generalizzazioni delle tecniche standard e che riconoscano all’immaginario di essere una possibile chiave di lettura della realtà.
Le immagini, infatti, non sono solo simulacri ingannevoli o finzioni al solo scopo di evasione, bensì indici rivelatori della nostra modalità di stare al mondo. Grazie alla rilevanza teorica attribuita alla produzione simbolica da alcuni studiosi − come Peter Ludwig Berger e Thomas Luckmann, Charles Taylor, Jean-Paul Sartre, Paul Ricoeur, Jean Baudrillard e Gilbert Durand −, l’immaginario si è affrancato dall’esser considerato uno di quegli ambiti emarginati dal sapere ufficiale, stigmatizzato come ostacolo per il progresso scientifico e considerato una sorta di pseudo-conoscenza oscurantista. Esso ha acquisito un suo statuto scientifico come dimensione interpretativa al pari di altri luoghi filosofici e sociologici. Ecco perché uno studio della produzione del fantastico, in modo particolare delle serie Tv, come campo osservativo di determinati aspetti culturali, può aiutare a decodificare dinamiche contemporanee non altrimenti spiegabili e comprensibili. La sfera dell’immaginario, infatti, ha un ruolo importante nel dare e nel rivelare un senso alla realtà umana, in quanto «la verità non è restringibile al campo dei numeri, dei concetti, delle idee, ma è qualcosa di più ampio».

La ridefinizione di alcuni concetti fondamentali: “reale/virtuale”, “autenticità/verità”, corpo ed esperienza
Le serie Tv, attualmente, sono una delle forme d’arte che più profondamente incide nella vita dei più o meno giovani e rappresentano la sintesi contemporanea delle due grandi forme narrative che hanno dominato i secoli precedenti, la forma epica del romanzo e la forma drammatica del teatro e del cinema. Inoltre, esse «riescono a costruire discorsi filosoficamente rilevanti e ci aiutano a capire più in profondità il mondo in cui viviamo e le forme della nostra esistenza al suo interno [...] costruiscono dei mondi dei quali lo spettatore fa esperienza in modo analogo a quello in cui fa esperienza del proprio mondo». Il mondo dell’illusione sembra, allora, esser diventato il luogo “concreto” delle infinite possibilità “parallele” e l’affermarsi, poi, delle nuove tecnologie di (ri)produzione delle immagini ha avuto come conseguenza quel surplus di immaginazione che ha reso possibile la crescente capacità di dare corpo a universi e a situazioni di fantasia dove sempre più si realizza una “esperienza senza realtà”.
In questo senso la filosofia è interpellata a una ridefinizione di alcuni concetti fondamentali come quelli di “reale/virtuale”, “autenticità/ verità”, corpo ed esperienza. Si parla, infatti, di una nuova regione della coscienza in quanto il cinema è in grado di proiettare gli individui in una nuova dimensione esperienziale e cioè in una nuova ontologia regionale, modificando una trasformazione spazio-temporale che aumenta la capacità di muoversi nei mondi possibili della finzione.
In questi “infiniti mondi” che le serie propongono, la riflessione non può non tener conto di come la poetica televisiva, soprattutto quella americana − arricchita da sofisticate tecniche di racconto e dall’impegno di sceneggiatori e registi di fama mondiale − si stia svincolando sempre più dai codici valoriali tradizionali e, a volte, cerchi di delineare le condizioni di un postumanesimo che mette in discussione anche la stessa cifra dell’umano, inaugurando un nuovo ordine etico che è ancora tutto da esplorare. In questo senso non dobbiamo temere di confrontarci con la “visione morale” dell’autore della storia, spesso non evidenziata per timore di cadere in accuse di “moralismo oscurantista”: essa è presente e ci sfida, è veicolata attraverso la narrazione, è la sua personale via di accesso alla cultura contemporanea, la sua chiave di lettura “delle tragedie del nostro tempo” che, rispetto a quelle greco-classiche, spesso presentano diversi costrutti antropologici e strutture di senso.

L’avanzare di nuovi scenari simbolici e il trionfo degli antieroi
Le tematiche affrontate riguardano i nuovi scenari simbolici che avanzano, le parti nascoste della forma mentis socio-individuale e l’iter semantico trasformativo che interessa alcune categorie fondamentali del pensiero e dell’etica come il bene, il male, la libertà, il tempo, l’eternità...
Il trionfo e l’empatia che viene indotta verso gli antieroi che, nella struttura drammaturgica tradizionale, erano destinati a “perdere”, pone delle domande che si uniscono a quelle sul perché di un clima così diffuso di risentimento dove il non ho altra scelta, in una vita diventata così complessa, si macchia spesso delle peggiori abiezioni e dove l’eroe tragico non cerca mai redenzione.
Le continue atmosfere apocalittiche, le irruzioni di forze oscure, demoniache, di animali, insetti, piante giganti che prendono vita, volteggiando minacciosi nei cieli, inevitabili conseguenze di un disastro ecologico di cui l’uomo, misura di tutte le cose, è il solo responsabile, sembra che ci stiano preparando a vivere, o meglio a sopravvivere, all’idea che l’umano non è più una categoria trascendentale. Potrebbe, allora, un corpo imbottito di protesi efficienti e di una intelligenza angelica fissata all’hard disk, oggi immagini fantascientifiche che mettono in scena ibridazioni “estreme”,rappresentare un presente immaginario proiettato a un “futuro possibile” nel quale l’idea di confine deve dissolversi e la produttività dello spirito scindersi dall’esperienza vissuta? L’umano è semplicemente una modalità semantica di svelare il mondo o ha una sua specifica forza di orientamento? Dobbiamo davvero andare al mondo del congiuntivo, dei mostri, dei demoni e dei clown della crudeltà per ri-dare un senso alla vita di ogni giorno?
Dall’analisi di queste fiction, non esaustiva e soprattutto ancora in fieri a causa dell’inarrestabile produzione, emergono dei sentieri simbolici complessi e contraddittori di fronte ai quali la proposta di interpretazione della pro-vocazione contemporanea che si intende azzardare potrebbe sembrare paradossale e discutibile: se da una parte, infatti, è avanzato lo stato di frammentazione, di “apparente” superamento di ogni etica, di ogni fede, di ogni limite, di ogni ordine e codice valoriale con la complicità e l’ausilio della tecnica, dall’altra si ripensa il concetto di artificiale tra creaturalità e creatività rilevando un desiderio tutto umano nel quale si cerca di dare cittadinanza, per non rimanerne sconvolti, all’ignoto, alle paure, alle ansie del futuro.
Rimane urgente la questione dell’effetto che la nuova visualità non linguistica, ma corporea, potrebbe avere soprattutto sulle giovani generazioni. Le serie, infatti, s’insinuano nell’immaginario giovanile colonizzandolo e operando una profonda trasformazione del loro sistema percettivo.