Konrad Adenauer e gli albori dell’Europa unita

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I principi che orientano la politica estera ed europea di Adenauer nel dopoguerra e nella prima fase del cancellierato (1945-1957): la precedenza dell’integrazione all’Occidente rispetto all’unità nazionale, la costruzione istituzionale dell’Europa, una politica anti-sovietica, il riferimento all’antropologia cristiana.
 

Prima di essere eletto primo cancelliere della Germania, Konrad Adenauer (1876-1967) divenne a 72 anni pre­sidente del Consiglio parlamentare che nel 1948-49 ha elaborato la Grundgesetz (“Costituzione”). In tale fun­zione era già prima della fondazio­ne della Germania e del primo governo colui che rappresentava il paese soprattutto a livello internazionale. Come cancelliere di una Re­pubblica senza sovranità e quindi senza un ministro per gli Affari esteri, era lui a deter­minarne da solo la politica estera – e anche l’istituzione di questo ministero nel 1955 non cambiò sostanzialmente tale situazione. Per la seconda volta in Germania sorse una de­mocrazia da una Guerra mondiale persa, ma questa volta si trattò di una Germania total­mente sconfitta e divisa dalla predominanza delle due superpotenze, Usa e Urss: in questa situazione, egli per molti impersonava la con­tinuità con la “vecchia Germania”, quella di Weimar, dove aveva rivestito dall’inizio fino alla fine della sua esistenza le cariche di bor­gomastro di Colonia e di presidente del Consiglio nazionale della Prussia, che rappresentava le Regioni a Berlino.

Carattere e principi della politica estera di Adenauer

Nonostante il carattere conservatore della sua figura e dei suoi at­teggiamenti politici, il suo cancellierato è segnato da molte scelte coraggiose che spesso realizzò contro molte resistenze e opposizio­ni all’interno e all’estero. La principale fu quella per la precedenza dell’integrazione della Germania dell’Ovest nella comunità dei popoli occidentali rispetto alla riunificazione, che avrebbe com­portato la neutralità della Germania tra i due blocchi e quindi un avvicinamento al comunismo dell’Urss. Questa scelta fu motivata soprattutto dall’antropologia cristiana che mette la persona uma­na al centro e dai conseguenti principi politici che non devono essere sacrificati a nessun compromesso: libertà, antistatalismo, diritti fondamentali1.

Non solo politici importanti all’interno della Cdu, specialmen­te il presidente del partito Jakob Kaiser, ma anche altre persone influenti e di riferimento, come il leader del partito socialdemo­cratico, Schumacher, immaginarono la funzione della Germania dopo la guerra come una sorta di “mediatrice” tra i due blocchi in evidente fase di formazione. Adenauer, quasi da solo, ha inseguito sin dall’inizio un orientamento deciso e senza compromessi verso il mondo libero occidentale. Certamente le sue idee di federali­smo anti-prussiano e anti-centralistico degli anni Venti, segnate dal milieu cattolico-renano in cui era cresciuto e dove fu politico, favorivano questa sua scelta, e così lo troviamo già partecipante al Congresso dell’Aja nel 1948, dove incontrò Paul-Henri Spaak e soprattutto Alcide De Gasperi. Ciò non gli impedì, però, di ap­profittare strategicamente dalla situazione della Germania come unico popolo situato “tra” le due superpotenze2.

Senza dubbi, l’integrazione europea era per Adenauer l’unico modo per superare le riserve dei paesi europei nei confronti della Germania, soprattutto in termini di sicurezza. Oltre questa finali­tà dichiarata, per Adenauer l’Europa era anche un modo per por­re un limite sempre più articolato all’ingerenza dei poteri alleati nelle vicende tedesche. Anche per questo, lo vediamo assumere spesso posizioni forti di interesse nazionale, ad esempio quando denunciò fortemente il modo in cui gli alleati gestivano il con­trollo sull’acciaio e sul carbone nella Ruhr negli anni postbellici. Lungi dal vedere nella Ruhrbehörde, l’organo di controllo istituito nel 1948, una possibile realizzazione delle sue idee di gestione internazionale ed europea del settore, la riteneva uno strumento di imposizione peggiore del Trattato di Versailles3.

L’integrazione europea nella politica estera di Adenauer fino al 1954

L’integrazione della Germania nel Consiglio europeo (Ce) era una delle priorità del nuovo cancelliere Adenauer che, ancora prima del discorso di Churchill a Zurigo, utilizzò il termine program­matico «Stati Uniti d’Europa». Prima che la Germania potesse formalizzare la sua richiesta il 31 marzo 1950, si pose una delle questioni più difficili della carriera politica del cancelliere, ossia il rapporto con la Francia e la questione della Saar. La regione, ricca di carbone, non era parte delle zone tedesche, ma era amministra­ta da un commissario francese come zona autonoma. Per staccarla definitivamente dalla Germania, la Francia insistette affinché la Saar facesse anch’essa la domanda a diventare membro del Ce, accanto a quella tedesca. Adenauer riuscì, però, a convincere gli altri alleati a respingere questa richiesta della Francia, proponen­do un’integrazione politica tra i due paesi come punto di partenza per un’integrazione europea. Le sue sincere intenzioni europee si confermarono nel 1954 quando egli propose, per mettere fine a questa domanda, un referendum per la Saar e consigliò ai cittadi­ni di votare non per l’adesione alla Germania ma per uno statuto europeo della regione, che l’avrebbe resa anche sede potenziale di molte istituzioni europee. Tuttavia, il popolo della Saar non seguì tale suggerimento, votando per l’annessione alla Germania, avve­nuta il 1° gennaio 1957.

Tornando al 1950, dalla Francia partì però anche la mossa defi­nitiva che avrebbe dato l’inizio al processo di integrazione sovra­nazionale che oggi è confluito nell’Unione europea: il ministro francese degli esteri, Robert Schuman, proclamò il 9 maggio il suo Piano per l’istituzione della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), il quale in realtà risaliva ad un’idea di Jean Monnet. Adenauer conobbe Schuman nel 1948 in un incontro segreto a Bassenheim sulla Mosella, quando egli, dopo un breve periodo da presidente del Consiglio della Francia, era appena diventato ministro degli Esteri. Usando tra di loro, come del resto anche nei colloqui con De Gasperi, il tedesco, entrambi trova­rono subito nei valori della democrazia cristiana, con il suo riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, una base forte per un agire comune in Europa, che aveva bisogno di rapporti di stabilità e fiducia tra i rappresentanti di due paesi che fino a poco tempo prima nutrivano un odio storico profondo. Ora, con il contratto firmato il 18 aprile 1951, entrambi i paesi sottoposero la pro­duzione di acciaio e carbone a una commissione internazionale, formata anche dall’Italia e dai tre Stati del Benelux4.

Il successo che, grazie alla proposta francese, realizzava un’idea di Adenauer, che sin dagli anni Venti pensava a una collaborazione europea in un settore strategicamente centrale, non si sarebbe replicato però per il Piano Pleven di creare una Comunità euro­pea di difesa (Ced). Il progetto era di risolvere in modo analogo anche la spinosa questione del riarmo della Germania: assicurare un controllo, soprattutto da parte francese, sul riarmo tedesco, che Adenauer – di natura sua piuttosto antimilitarista – inse­guiva come fattore di Realpolitik, priva di falsi idealismi. Certa­mente su questo punto gli era più difficile convincere la propria popolazione che non gli alleati occidentali, che nell’inasprirsi del conflitto con l’Urss non avevano dubbi sull’importanza del ri­armo tedesco. Per loro fu decisivo che lo stesso Adenauer non avesse pensato a un esercito nazionale, ma da subito a una parte­cipazione tedesca in un progetto europeo, anteponendo l’impor­tanza politica a quella strettamente militare. Infatti, il cancelliere spinse per la Ced come risposta europea all’offerta sovietica di riunificare la Germania al prezzo della sua neutralità interna­zionale: Adenauer non dubitò un attimo che si trattasse di una pura tattica sovietica per indebolire i patti dei paesi occidentali e l’integrazione della Germania nell’Occidente. Anche per questo, per lui fu un «giorno nero per l’Europa» quando il Consiglio nazionale francese rifiutò tale istituzione nel 1954. In fondo, questo rifiuto mise a repentaglio uno dei capisaldi della politica estera di Adenauer, ossia l’assoluta precedenza dell’integrazio­ne politica, militare ed economica dell’Occidente per costitui­re un potere forte contro l’Unione Sovietica, rispetto all’unifi­cazione tedesca. Ciononostante, questo suo impegno non restò vano, perché confluì nell’entrata della Germania prima, insieme all’Italia, nell’Unione europea occidentale (Ueo) nel 1954, e poi nella Nato nel 1955. Ciò che tramontò, però, con la Ced, era il progetto politico ad essa connesso, come espressione del fatto che, secondo Adenauer, De Gasperi e Schuman, l’integrazione economica, strategica e militare dell’Europa sono solo momenti per l’unificazione politica: così la loro idea della Comunità poli­tica europea (Cpe) subì il suo arresto definitivo in quel 1954 che registra anche la morte di De Gasperi, non più al governo dal 1953, anno in cui anche Schuman lasciò la sua carica di ministro degli Esteri. Anche per questa uscita di scena dei due alleati più intimi, per Adenauer nel 1954-55 iniziò una nuova fase della sua politica europea5.

Gli ultimi anni della prima fase della politica estera di Adenauer e considerazioni conclusive

Dopo un primo momento di orientamento rigoroso verso i po­poli liberi occidentali (fino al 1950), e un secondo di “costruzio­ne” delle basi per l’Europa (1950-54), gli ultimi anni di questa prima fase della politica estera ed europea di Adenauer furono segnati alla prospettiva atlantica, dovuta al fallimento della Ced e all’integrazione della Germania nella Nato. Fino a quegli anni era non soltanto la minaccia sovietica, continuamente sottolineata da Adenauer, ma soprattutto la presenza degli Stati Uniti a costrin­gere i popoli europei ad una collaborazione costruttiva. Ma ora il fallimento di un’integrazione politica ed economica più forte e il peso della Nato in Europa portavano nel suo giudizio il ri­schio di un ritirarsi degli Usa dalla scena europea, per cui l’Europa doveva trovare la forza unitiva sempre più in se stessa. Inoltre, dopo il riconoscimento della Germania nel 1955, Adenauer aveva per la prima volta la possibilità di contribuire più attivamente ad una Europa occidentale unita che dimostrasse una potenza vera e propria nei confronti dell’Unione Sovietica. Ma dopo il 1954 il processo europeo si trovava già in una prima piccola crisi: dopo il fallimento della Ced e della Cpe, si trattava di salvare la Ceca attraverso la sua integrazione nella costituzione di un mercato co­mune che abbracciasse tutti i settori economici: ciò avvenne con i Trattati di Roma, firmati il 25 marzo 1957, che istituirono la Comunità economica europea (Cee), insieme alla Comunità euro­pea dell’energia atomica (Euratom). Sebbene, nella sua prospetti­va, la Cee significò non solo un accontentarsi con l’integrazione economica ma anche l’attestazione che la Gran Bretagna restò per il momento fuori dal progetto europeo; egli certamente non ri­fiutò la sua adesione, sostenuta anche dall’economia tedesca, e anzi la impose anche contro il suo ministro delle Finanze, Ludwig Erhard. Per lui la Cee era la prova del fatto che la Francia dopo il 1954 avrebbe capito che anche il suo futuro non poteva essere al di fuori della comunità europea. Ciò dimostra la visione chia­ramente politica che Adenauer aveva sin dall’inizio per l’Europa, e in qualche modo anche la sua eredità per noi oggi. Nello stesso anno 1957, in cui avrebbe ottenuto con il suo partito (insieme alla Csu) per la prima volta la maggioranza assoluta, per la prima volta l’opposizione socialdemocratica approvò un accordo euro­peo di Adenauer6.

Specialmente nella seconda fase della sua politica estera che inizia dopo i Trattati di Roma e segna poi gli anni Sessanta del suo can­cellierato, l’opinione pubblica rifletterà molto più criticamente su quelle che erano state le caratteristiche di questa prima fase: deter­minazione, pazienza, tenacia, scetticismo, controllo del cambia­mento. La sua età avanzata avrà contribuito alla fortificazione del suo carattere da sempre conservatore, che nella sensibilità per la dinamica e l’imprevedibilità del cambiamento negli anni Sessanta risulta piuttosto statico e ingombrante. Un carattere che in Ger­mania, dopo la guerra e negli anni Cinquanta era provvidenziale, soprattutto perché gli consentiva di rimanere fermo sui principi e scoprire le potenzialità positive nelle varie opportunità tra Ce, Ceca, Ced e Cee, che promuoveva sempre con piena convinzione ed entusiasmo, disposto a concedere molto su questioni seconda­rie. Ciò dimostra una chiara progettualità nella politica estera e specialmente europea: il carattere “conservatore” di Adenauer si potrebbe pertanto riassumere nell’idea che bisogna essere inno­vativi per impedire la dissoluzione. Una politica, come egli stesso riassumeva, «di puro istinto di autoconservazione e del rischio minore»: che era in effetti una politica della forza e nel suo carat­tere conservatore la «più moderna politica tra tutti i cancellieri»7, e ciò vale, nel suo conseguente superamento di ogni egoismo na­zionale, specialmente per l’oggi. Non avrebbe mai sacrificato gli ideali di libertà e sicurezza per l’interesse nazionale di riunifica­zione: ciò avrebbe significato tradire i principi dell’antropologia cristiana e cedere alle condizioni sovietiche. Considerando le idee molto diverse sulla politica estera non solo dei suoi avversari socialdemocratici, ma anche di molti personaggi del suo partito, la tenacia con cui ha portato la Germania non solo al suo riconosci­mento nella comunità dei popoli liberi, ma l’ha resa un pilastro del progetto europeo, lo rende uno dei più grandi statisti della storia europea8.

Note

  1. Cfr. H.-P. Schwarz, Konrad Adenauer. Abendländer oder Europäer? Zur Bedeutung des Christlichen in seiner auswärtigen Politik, in: U. von Hehl, Adenauer und die Kirchen (Rhöndorfer Gespräche, 17), Bouvier, Bonn 1999, pp. 95-115.
  2. Cfr. H.-P. Schwarz, Adenauer. Der Aufstieg: 1876-1952, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 19863, pp. 560s.
  3. Cfr. D. Geppert, Die Ära Adenauer, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2002, pp. 37-39.
  4. Cfr. G. Henle, Vom Ruhrstatut zur Montan-Union, in: D. Blumenwitz et al., Konrad Adenauer und seine Zeit. Politik und Persönlichkeit des ersten Bundeskanzlers. Beiträge von Weg- und Zeitgenossen, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 1976, pp. 566-590; T. Di Maio, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. Tra superamento del passato e processo di integrazione europea (1945-1954), Giappichelli, Torino 2004, pp. 340-347.
  5. Cfr. D. Preda, Storia di una speranza. La battaglia per la CED e la Federazione europea, Jaca Book, Milano 1990; Ead., Sulla soglia dell’unione. La vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Jaca Book, Milano 1994.
  6. Cfr. H. J. Küsters, Adenauers Europapolitik in der Gründungsphase der Europäischen Wirtschaftsgemeinschaft, in «Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte», vol. 31, 1983, pp. 646-673.
  7. H.-P. Schwarz, Das außenpolitische Konzept Konrad Adenauers, in: K. Gotto et al., Konrad Adenauer. Seine Deutschland- und Außenpolitik 1945-1963, dtv, München 1975, pp. 97-155, qui p. 152.
  8. Cfr. W. Weidenfeld, Konrad Adenauer und Europa. Die geistigen Grundlagen der westeuropäischen Integrationspolitik des ersten Bonner Bundeskanzlers, Europa Union, Bonn 1976.

 

 

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Antologia

La Germania e la pace in Europa

(Discorso di Konrad Adenauer alle Nouvelles Équipes Internatio­nales a Bad Ems, 14 settembre 1951)

Al giorno d’oggi, metà Europa sta sotto il dominio russo. [...] Da sempre, la Russia ha inseguito una forte politica espansiva panslavistica. Questa spinta all’espansione del suo potere è stata oltremodo rafforzata nel passaggio alla forma di Stato comuni­sta o meglio totalitarista, alla dittatura. Ogni dittatura ha nella sua intima essenza l’esigenza e l’impulso di allargare il proprio potere. Questa spinta al dominio si mostra innanzitutto nel suo riarmo molto forte e rapido. [...] La furia di dominio della Russia si mostra però soprattutto nel tentativo di rendere succubi altre nazioni, in una misura mai conosciuta nella storia. [...] Essa è un pericolo esiziale, perché fa una politica e cerca di diffondere opinioni e metodi politici basati su un’ideologia che è diametral­mente opposta alla nostra visione cristiana del mondo. Mentre noi ci basiamo sul principio che né lo Stato né il potere fungono da suprema misura di tutte le cose, la Russia sovietica parte dal presupposto che la persona umana non ha dignità né diritti, e che lo Stato, o meglio quelli che hanno lo Stato in mano, possono esercitare il loro dominio senza limiti e arbitrariamente su tutto ciò che porta volto umano. [...]

Salvare l’Occidente, salvare la cultura cristiana sarà un compito che dipenderà in modo decisivo anche dall’unione delle forze po­litiche che si ritrovano sul terreno del cristianesimo. E queste forze cristiane, Signore e Signori miei, sono molto più forti di quanto sappiamo. Basta riferirsi ai partiti cristiani in Italia, in Francia, in

Svizzera, in Lussemburgo, in Belgio, Olanda, Austria e in Germa­nia. In un punto siamo però in svantaggio, e con dispiacere devo dirlo, rispetto ai partiti che non credono come noi nella forza vincente del patrimonio intellettuale cristiano. Essi si sono riusci­ti a organizzare a livello internazionale molto più fortemente di quanto siamo riusciti noi. [...] Un’unione più forte dei partiti cri­stiani gioverà in modo decisivo al nostro lavoro dedicato al nostro fine comune, e così aiuterà noi tutti. Ma soprattutto da una tale cooperazione ne trarrà frutto l’integrazione politica dell’Europa. L’integrazione politica dell’Europa non è soltanto un compito tra la Francia e la Germania. Certamente un accordo tra la Francia e la Germania, un’intesa duratura, costituisce un presupposto di questa integrazione dell’Europa. Ma l’integrazione dell’Europa è qualcosa di più grande e di più ampio. Ad essa appartengono, al di là della Francia e della Germania, anche l’Italia, il Benelux, l’Austria e – qualora possibile – anche i Paesi nordici e l’Inghil­terra. E quest’integrazione dell’Europa deve essere raggiunta se vogliamo salvare la cultura occidentale e l’Europa cristiana. L’in­tegrazione dell’Europa è l’unica possibile salvezza dell’Occidente cristiano. [...]

La spinta dei popoli europei all’autoconservazione richiede impe­riosamente la difesa della nostra concezione di vita da parte di noi tutti che siamo minacciati alla stessa maniera. Questo impegno, questo obbligo interiore, che abbiamo, cioè l’unione dell’Europa in una comunità forte di pace e di difesa, per darci un sostegno nei confronti della minaccia dall’Est, deve essere assoluto in noi tutti. Altrimenti non abbiamo compreso né capito il compito che il nostro tempo pone a noi e soprattutto ai partiti cristiani. Nella realizzazione del Piano Schuman, nella creazione di una Comuni­tà Europea di Difesa, cioè nella creazione di un esercito europeo, ma attenzione: non di un esercito di coalizione europea, vedo la via più sicura e unica per creare un’Europa integrata e per creare un fronte forte di cui abbiamo bisogno nei confronti della pres­sione sovietica. È l’unica via per scampare al pericolo della nostra libertà e di tutto ciò che teniamo di santo e caro, e per salvare la pace. Non salveremo la pace lasciando andare le cose come vanno. [...] Una tale unione dell’Europa non può mai essere di natura aggressiva: può essere soltanto una cittadella della pace, una pro­tezione della pace, e tale sarà. [...]

Come tedesco, come europeo e come cristiano ho il desiderio più ardente – e questo è il fine più nobile del mio lavoro – di raggiun­gere un’unione europea di popoli liberi e uguali per la salvaguar­dia della libertà e della pace in Europa e nel mondo intero.

 

Tratto da K. Adenauer, Reden 1917-1967. Eine Auswahl, a cura di H.-P. Schwarz, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 1975, pp. 224-232.