Frassati cent’anni dopo: un giovane che parla ai giovani

di 

Nell’anno che ha preceduto il centenario della morte (4 luglio) e la canonizzazione (7 settembre 2025) di Pier Giorgio Frassati (detto Anno Frassatiano, in particolare per le diocesi di Torino e di Biella) come responsabili dell’Azione Cattolica torinese siamo stati coinvolti in un numero davvero rilevante di iniziative, incontri, interviste. In questi contesti, spesso è emersa la domanda su che cosa dica la sua figura ai giovani di oggi. Una domanda legittima, trattandosi appunto di un giovane morto a ventiquattro anni, ben cento anni fa: si potrebbe con ragione sollevare il dubbio che una tale distanza temporale possa determinare anche una irrecuperabile distanza esistenziale, rispetto alla vita dei giovani di oggi. Ed è una domanda intrigante perché in realtà, come ci ha dimostrato nei mesi trascorsi e come continua a dimostrarci l’esperienza che facciamo nel guidare pellegrini che da ogni parte del mondo vengono a Torino a cercare le tracce di Frassati, il fatto che Pier Giorgio parli in modo eloquente proprio ai giovani di oggi è indubitabile.

Questo articolo scritto a tre mani ha l’ambizione non tanto di esaurire l’argomento sull’attualità di Pier Giorgio Frassati, ma di dare qualche elemento su come la sua figura possa essere ancora e soprattutto oggi «sprone ai giovani» (come recita la targa apposta nella parrocchia di Pier Giorgio già nel primo anniversario della sua morte).

La Chiesa infatti indica Pier Giorgio a tutti, ma certo in modo particolare i giovani sono quelli più interessati a vedere come ha vissuto la sua fede una persona che ha condiviso la loro età, con tutti i problemi e tutte le cose belle che riempiono l’esistenza nell’età giovanile.

La vita interiore

Un primo pensiero che ci sentiamo di sottolineare è che in un contesto sbilanciato sull’esteriorità e sull’immagine, dove molti giovani sono poco consapevoli di avere una vita interiore, Pier Giorgio dimostra che è possibile stare nel quotidiano senza esserne dilaniati, come persone intere, unificate dall’amore e dall’amicizia con Gesù. Ci dimostra con le azioni e non solo a parole l’importanza di dedicare periodicamente, e con costanza, del tempo al silenzio, alla preghiera, alla lettura di opere che nutrono il cuore, al confronto umano e spirituale con sacerdoti e amici, ai sacramenti, che la Chiesa propone come via privilegiata di esperienza del Signore. Tanti iniziano già da giovani ad arrivare stanchi a fine giornata, a dedicarsi a questa o quella attività senza dar troppo peso alle motivazioni profonde dell’agire, rincorrendo desideri di approvazione e a volte sensi di colpa. Pier Giorgio ci insegna che coltivare una vita interiore non è ritagliarsi una zona franca, una bolla separata dal resto del nostro mondo, ma frequentare un’oasi presso cui trovare periodicamente il nutrimento per arricchire a nostra volta i nostri ambiti di vita, con senso e sguardo profondo.

Camminare insieme

Sono davvero toccanti e piene di commozione le lettere che si scambiano gli amici di Pier Giorgio dopo la sua morte. Ci fanno capire davvero quanto Pier Giorgio fosse affezionato ai propri amici e alle proprie amiche, conosciuti nei circoli e nelle gite in montagna. Vedere Pier Giorgio coltivare le sue amicizie ci provoca molto, perché teneva insieme con grande spontaneità e autenticità l’aspetto goliardico e scherzoso con l’aspetto più strettamente spirituale ed esistenziale: l’amicizia non era che un’occasione privilegiata di relazione vera sotto lo sguardo del Signore. E allo stesso tempo era e può essere tuttora occasione di crescita, di confronto, di reciproco invito a uscire dalla propria zona di comfort (come quando Pier Giorgio invitava qualche amico ad andare con lui a trovare una famiglia povera, oppure al Cottolengo). I regali preferiti di Pier Giorgio ai suoi amici erano corone del rosario e libri spirituali, come le lettere di san Paolo. Amare i propri amici era proprio adoperarsi per il loro bene, non nell’ottica di trarre a sé con chissà quali doti carismatiche ma di condividere il cammino proponendosi a vicenda chiavi di lettura ed esperienze che portino «Verso l’Alto».

Una vita varia e unificata

Pier Giorgio rappresenta un modello di vita unificata, che affascina particolarmente in un tempo come il nostro, dove spesso le persone, giovani e adulte, vivono frammentate in tanti ruoli diversi (il figlio, il genitore, il lavoratore, lo studente, lo sportivo, lo spettatore, ecc.). Pier Giorgio, al contrario, era una persona intera, coerente in ogni aspetto della sua vita. Questa integrità scaturiva in lui dal rapporto profondo con Dio e dall’assimilazione del Vangelo nella sua esistenza. Questo messaggio di unità interiore può rivelarsi estremamente potente per i giovani. Pier Giorgio testimonia che cosa significa vivere una vocazione laicale, cioè stare da cristiani nel proprio tempo, nella propria realtà assumendola e vivendola con consapevolezza. Nel suo caso, per esempio, l’impegno nello studio, l’impegno sociale, l’impegno politico: sentirsi parte del proprio tempo, starci dentro, abitarlo. Pier Giorgio era tante azioni, tanti sguardi, tanti incontri, ed era sempre lo stesso in ogni suo ambito, modulando il suo stare nella situazione con lo sguardo fisso su Gesù e le conseguenze concrete della fedeltà al Vangelo.

Il dono di sé

Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà(Mt 16,25). Guardando alla vita di Pier Giorgio possiamo constatare come davvero questo versetto risuoni in ogni sua scelta, grande o piccola che sia.

Considerare la vita non come qualcosa di proprio ma come qualcosa che ci è donato non può che comportare un dono totale a nostra volta, e Pier Giorgio lo testimonia con forza. È interessante come, in occasione della scelta di quale facoltà universitaria frequentare, Pier Giorgio sia arrivato a scegliere ingegneria mineraria guidato sia dai suoi interessi (sin da ragazzo collezionava minerali e li catalogava scientificamente) che dal desiderio di fare una professione in cui il suo spirito cristiano potesse mettersi al servizio degli altri. Di fronte a un posto sicuro alla Stampa, il giornale del padre, che gli avrebbe garantito stabilità, carriera e prestigio sociale Pier Giorgio sceglie ingegneria mineraria, per un giorno poter supportare il lavoro di chi per intere settimane non vede il cielo e lotta con le condizioni lavorative più logoranti e rischiose.

Ma il dono di sé di Pier Giorgio passava anche sicuramente nelle visite ai poveri, giorno dopo giorno, aiuto dopo aiuto, senza mai fermarsi, senza mai risparmiarsi. Un dono di sé talmente radicale che lo avrebbe portato con ogni probabilità a contrarre la poliomielite fulminante, causa della sua morte in giovane età. Viviamo in un tempo in cui, spesso, ci viene detto di curarci prima di noi stessi, di pensare a ciò che ci fa stare bene, a ciò che preferiamo noi e solo dopo a cosa possiamo fare per gli altri, se avanza tempo e se non siamo troppo stanchi. Se da un lato possiamo riconoscere come questa narrazione stia aiutando i giovani a prendere in mano i propri sentimenti, la propria sensibilità e i propri vissuti più o meno facili da trasportare, dall’altro è importante tutelarsi dalle conseguenze che una sua esagerazione può comportare. La strada che ci indica Pier Giorgio è la strada del Vangelo, che poco ha a che fare con la conservazione di sé ma anzi ci porta a «rinnegare noi stessi» (cfr. Mt 16,24), a mettere l’Amore al centro di ogni nostra azione.

L’azione sulla realtà

Come il nostro, anche il suo era un tempo complicato e difficile: Pier Giorgio mostra che è possibile nutrire la speranza e fare la propria parte per migliorare il mondo in cui si vive.

Pier Giorgio nella sua vita si è schierato, ha preso posizione verso ciò che riteneva ingiusto: la povertà, la guerra, il potere che sa di prevaricazione. La sua attenzione alle dinamiche sociali e del suo tempo ha trovato eco concreta in termini etici (la carità verso i poveri) e politici (l’impegno nel Partito Popolare e l’antifascismo).

Nelle ultime settimane abbiamo visto folle di giovani riempire le strade per chiedere la pace, per denunciare, forse arrivati al limite del sopportabile, che i diritti dell’uomo sono inviolabili, non ci dev’essere potere che tenga; nel mondo, la cosiddetta gen Z sta compiendo atti rivoluzionari in contesti in cui il potere è esercitato a scapito della popolazione. Pier Giorgio era un credente che sapeva unire preghiera e azione, ci lascia l’esempio di una fede incarnata, vissuta senza bigottismo, ma con un moto dinamico tra l’io, Dio e il mondo. Il suo esempio scuote dalla tentazione di accontentarci di considerarci credenti, di andare a messa, di affrontare certi argomenti nei nostri gruppi senza poi agire concretamente verso qualche direzione: Pier Giorgio non si pensava esentato dal «fare», agiva nel quotidiano, sempre con sollecitudine e rispetto per l’altro, pronto ad accogliere le conseguenze del suo agire e invitava gli altri a fare lo stesso.

La speranza nel futuro

Incontrare Pier Giorgio, per un giovane del nostro tempo, può voler dire ricevere uno stimolo fortissimo a non accontentarsi della mediocrità, e ad avere sempre speranza nel futuro, credendo nell’amore, sempre. La nostra è un’epoca in cui la speranza sembra passata di moda, rimasta appannaggio di poche persone viste come superficiali o poco attente ai segni dei tempi. Da un po’ di generazioni i giovani sono ormai abituati a crescere nell’incertezza circa il lavoro, le relazioni, gli equilibri internazionali. L’espressione frassatiana «non vivacchiare ma vivere» è diventata iconica e suona come grande provocazione ai tanti che purtroppo si ritrovano già rassegnati e disillusi nei confronti del mondo che vivono. E non si tratta di coltivare una speranza ingenua, frutto di autoconvincimento o buonismo superficiale, ma è una speranza che deriva dalla grazia che ci accompagna ogni giorno. La speranza della risurrezione non può che trasfigurare il nostro sguardo su quello che capita attorno a noi, stimolando poi le nostre mani a fare la loro parte. Pier Giorgio era un giovane gioioso, ma consapevole dei drammi che attraversano molte vite. Scriveva: «Il dolore non è la tristezza». A pensarci bene, anche questo è un messaggio potentissimo. Chi spera può soffrire, e non smette di farlo per questo, ma neppure smette di sperare, perché sa che l’amore di Dio non viene mai meno. È una questione di prospettiva, di lunghezza e profondità dello sguardo.

Pier Giorgio Frassati che fa fronte alle sofferenze della sua vita continua a indicarci quali siano le cose davvero importanti: cose che non si risolvono mai nei beni materiali, e vorremmo dire neppure nei pensieri puramente razionali, ma che accolgono la componente di mistero dell’Amore più grande.

La gioia del Vangelo

Pier Giorgio non ha mai fatto mistero della sua adesione al Vangelo; anzi, è per così dire un testimone di apostolato che ha tanto da insegnarci. Spesso ci diciamo che dobbiamo essere credenti credibili, che i giovani devono incontrare adulti capaci di testimoniare il proprio cammino nel Vangelo con la loro vita, oltre che a parole.

Pier Giorgio testimoniava già in vita la bellezza di essere giovani cristiani, che non comporta negarsi le gioie della vita ma avere gli strumenti per assaporarla a pieno, custodendone la componente di mistero. Spesso purtroppo le nostre chiese rischiano di ospitare sentimenti come nostalgia, scoraggiamento, tristezza. «Ogni cattolico non può non essere allegro», scriveva Pier Giorgio. Quanto interpella i nostri sentimenti da operatori pastorali e in generale laici del nostro tempo! E come ci invita a riconoscere la gioia strabordante dell’adesione a Cristo, tutelandoci dalla tentazione di vedere il proprio cammino di fede come un affare prettamente individuale da coltivare solo e soltanto nel proprio orticello!

***

Antologia

Carissima, grazie anzitutto della buona lettera. Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? Finché la Fede mi darà forza, sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro: la tristezza deve essere bandita dagli animi cattolici; il dolore non è la tristezza, che è una malattia peggiore di ogni altra.

Questa malattia è quasi sempre prodotta dall’ateismo; ma lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via: essa è allegria anche attraverso i dolori.

Poi in questi giorni l’animo mio esulta perché è giunto da Livorno Marco Beltramo.

(Lettera alla sorella, Torino, 14 febbraio 1925)

 

Nelle mie lotte interne mi sono spesso domandato perché dovrei io essere triste? Dovrei soffrire, sopportare a malincuore questo sacrifizio? Ho forse io perso la Fede? No, grazie a Dio, la mia Fede è ancora abbastanza salda ed allora rinforziamo, rinsaldiamo questa che è l’unica Gioia, di cui uno possa essere pago in questo mondo.

Ogni sacrificio vale solo per essa; poi, come cattolici, noi abbiamo un Amore che supera ogni altro e che dopo quello dovuto a Dio è immensamente bello, come bella è la nostra religione.

Amore che ebbe per avvocato quell’Apostolo, che lo predicò giornalmente in tutte le sue lettere ai vari Fedeli. La Carità, senza di cui, dice san Paolo, ogni altra virtù non vale. Essa sì che può essere di guida e d’indirizzo per tutta la vita, per tutto un programma.

Essa con la Grazia di Dio può essere la meta a cui il mio animo può attendere. Ed allora noi al primo momento siamo sgomenti, perché è un programma bello, ma duro, pieno di spine e di poche rose, ma confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia.

(Lettera a Isidoro Bonini, Torino, 6 marzo 1925)

 

Carissimo, la pace sia nel tuo animo, ecco l’augurio che Robespierre porge a Perrault per l’anno Santo; ogni altro dono che si possegga in questa vita è vanità come vane sono tutte le cose del mondo.

Bello è vivere in quanto al di là v’è la nostra vera vita altrimenti chi potrebbe portare il peso di questa vita se non vi fosse un premio alle sofferenze, un gaudio eterno, come si potrebbe spiegare la rassegnazione ammirabile di tante povere creature che lottano con la vita e spesse volte muoiono sulla breccia se non fosse la certezza della Giustizia di Dio.

Nel mondo che si è allontanato da Dio manca la Pace ma manca anche la Carità ossia l’Amore vero e perfetto. Forse se san Paolo fosse da tutti noi più ascoltato le miserie umane sarebbero forse un po’ diminuite.

(Lettera a Marco Beltramo, Torino, 15 gennaio 1925)

 

Carissimo, ogni giorno più comprendo qual Grazia sia esser cattolici. Poveri disgraziati quelli che non hanno una Fede: vivere senza una Fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità non è vivere ma è vivacchiare.

Noi non dobbiamo mai vivacchiare ma vivere perché anche attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordarci che siamo gli unici che possediamo la Verità, abbiamo una fede da sostenere, una Speranza da raggiungere, la nostra Patria. E perciò bando ad ogni malinconia che vi può essere solo quando si perde la fede.

(Lettera a Isidoro Bonini, 27 febbraio 1925)