I testi che compongono questo dossier sono in continuità con i tre numeri del 2025, tutti variamente orientati ad attraversare lo scenario plurale in cui siamo immersi per riconoscere un punto di sintesi nella ricerca di un orizzonte comunitario (primo numero), di una rinnovata alleanza tra informazione e cultura (secondo numero), di una comprensione frutto di adeguata tessitura narrativa (terzo numero). A questo punto, si è imposta una questione che qui si cerca di mettere a tema: Che cosa fare, quando il pluralismo diviene polarizzato? Non soltanto dispersivo e paralizzante, ma disposto per contrapposizione tra un dentro e un fuori, un “noi” e un “loro”? La linea di orientamento che emerge dal percorso che presentiamo cerca un punto d’incontro fra due diversi piani di lettura: per un verso, occorre interrogarsi intorno alle “patologie” del pluralismo, fino a cogliere nel dualismo uno dei fattori più insidiosi; per altro verso, è necessario riconoscere una “radice che accomuna” come orizzonte irrinunciabile, al quale tuttavia possiamo guardare solo in forma indiretta, passando attraverso un’articolazione plurale e partecipativa delle differenze.
Il dualismo posto al centro del dossier è di natura antropologica, e riguarda una duplice presunta antinomia: sia quella tra la persona umana considerata nella sua singolarità individuale o come parte di una formazione sociale, sia quella tra gruppi, per cui uno si considera indipendente e talvolta anche superiore agli altri. Il problema viene da lontano, da quando cioè, nella prima modernità, si è affermato il paradigma duale di soggetto e oggetto, che ha indotto a oggettivare anche la relazione tra soggetti, e persino quella dell’io con se stesso. In questo modo, mentre si è consolidato il piedistallo dell’ego, anche la sua profondità riflessiva ha finito per essere disgregata in un pulviscolo di contenuti psichici da analizzare come puri e semplici “oggetti di coscienza”.
Tuttavia, l’impianto individualistico, che è alla base di questo dualismo di fondo e che oggi sta virando verso una forma di singolarismo, come si è detto nei numeri precedenti, non si supera spostando semplicemente l’attenzione dalla prima persona singolare alla prima persona plurale: il passaggio dall’io al noi non garantisce di per sé il superamento del dualismo, in alcuni casi può addirittura favorire un suo potenziamento. Le convergenze occasionali degli interessi, gli egoismi di gruppo, le coalizioni tribaliste, il “noi contro voi” ne sono una facile esemplificazione. Riconoscendo potenzialità e limiti di questo slittamento, il dossier suggerisce di riconciliare il primato dell’io e quello del noi in una superiore ottica relazionale.
Il percorso muove anzitutto da una ricognizione in chiave sociologica, che Pierpaolo Donati incentra intorno al dualismo tra individuo e società, inteso come un meccanismo volto a diminuire la complessità del reale, rischiando tuttavia di ridurre la relazione a mera negazione dell’altro. Dopo aver introdotto e opportunamente esaminato alcune distinzioni, Donati invita a un approccio relazionale, nella convinzione che i dualismi oppositivi devono essere modificati per generare beni relazionali, anziché mali relazionali. Questo scenario è ripreso da Laura Boella, secondo la quale è oggi in atto un cambiamento senza precedenti, che autorizza a parlare di «nuova condizione umana»: all’alienazione dal mondo, prodotta dalla scienza moderna, si aggiunge un’alienazione dalla Terra, in cui sembra venire meno il patto tra esseri umani e mondo fisico-materiale. Lasciandoci guidare dalle analisi di Hannah Arendt, dobbiamo ancora una volta «imparare a diventare umani »: dalla “novità” della condizione umana, oltre la vertigine del cambiamento, può anche scaturire l’impegno a un nuovo inizio.
Elena Passerini raccoglie idealmente tali inviti, di cui condivide e sviluppa la prospettiva relazionale, introducendo un chiarimento di fondo relativo al valore della pace, accanto alla differenza tra guerra e conflitto: i conflitti, che la guerra impedisce di affrontare positivamente, vanno invece riconosciuti come forme “fisiologiche” di relazioni viventi, che la prospettiva pedagogica aiuta a gestire nel segno di una pace concretamente impegnata in senso inclusivo e da non intendere riduttivamente a partire dalla condizione di guerra. Spostando lo sguardo sul piano giuridico-politico, Giovanni Bombelli rilegge la questione del bene comune, come condizione di possibilità del vivere associato, in un orizzonte “terzo”, radicato nella dinamica sociale e insieme eccedente rispetto a essa. Il tentativo moderno, messo in atto da molte Costituzioni, di fare del bene comune un luogo normativo di condivisione, e il crescente pragmatismo tecno-funzionalistico sotteso allo scenario europeo confermano la centralità di tale nozione e insieme la necessità di proteggerla con un esercizio incessante di approfondimento.
Rispetto a questo percorso, Stella Morra invita a guardare all’Incarnazione come matrice teologica capace di fondare una riflessione intorno alla radice che accomuna l’umano, oltre ogni dualismo. L’anniversario del Concilio di Nicea, che ha sancito dogmaticamente l’uguaglianza di sostanza del Figlio con il Padre, ci ricorda la piena divinità di Gesù Cristo, senza perdere la sua piena umanità, assunta nascendo da Maria. Nella tensione “sacramentale” fra il Figlio, figura universalmente salvifica, e la Madre, figura singolare dell’umano che abbraccia la chiamata di Dio, s’intravede la possibilità di un processo di costruzione di un’umanità accomunata a un livello profondo e non ideologico.
Infine, il Forum a tre voci che conclude il dossier suggerisce alcune prospettive di riconciliazione: il consolidamento di istituzioni transnazionali e internazionali in una prospettiva di universalismo e di pace, particolarmente urgente in un tempo di delegittimazione e persino di criminalizzazione dell’ONU (Sihem Djebbi); la valorizzazione formativa di luoghi e momenti di “risonanza”, nella comunità e nei luoghi organizzati della convivenza, capaci di educare alla gioia e alla libertà come pure al confronto con la sofferenza e il mistero (Ivo Lizzola); un cammino che impegna le chiese al consolidamento di una spiritualità ecumenica a partire dallo scambio di buone prassi, che aiutino a ritrovarsi come fratelli e sorelle in unità tra diversi (Armando Nugnes).
Alla fine, quello che poteva sembrare un problema un po’ astratto, rivela tutta la propria insidiosa concretezza: il dualismo è quasi sempre figlio di qualche semplificazione ideologica, che per consacrare un aspetto deve demonizzare il suo opposto. Per sconfiggerlo alla radice, abbiamo bisogno di riscoprire un’unità relazionale che è ben più alta delle nostre costruzioni sempre umane, troppo umane.

