Il senso di questo articolo è quello di risalire il corso del fiume della riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa cattolica durante gli ultimi 60 anni, ossia a partire dal 18 novembre 1965, data della promulgazione della Costituzione dogmatica Dei Verbum. Da quella sorgente molta acqua è scaturita per abbeverare il popolo di Dio sino a lambire le labbra e dissetare i cuori di tutti noi. Seguendo il filo dei principali interventi magisteriali appare con più evidenza il percorso fatto e le questioni ancora aperte.
La “fontana” dell’Aperuit illis e della Evangelii gaudium
La seguente riflessione parte dalla Lettera apostolica di papa Francesco per l’istituzione della «Domenica della Parola»: Aperuit illis. La scelta di una domenica dedicata alla Parola di Dio rappresenta una decisione estremamente significativa, addirittura qualcuno ha detto un evento storico1, qualcosa di analogo al Corpus Domini, istituito nel 1264 da Urbano IV. Sin dalla scelta del passo biblico di riferimento che offre l’incipit – «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45) –, appare chiaro il nesso tra il contesto pasquale, la Parola e la dimensione comunitaria dell’accoglienza della Parola.
La Domenica della Parola è in un certo senso un’eredità del pontificato di Francesco, i cui effetti si verificheranno nel tempo, in cui si invoca la riscoperta della dimensione popolare dell’accostamento alla Bibbia, da tutti invocato, in parte estesosi a macchia di leopardo, ma poi per certi versi un po’ assopitosi almeno in alcune fasce della comunità dei credenti, soprattutto quella della partecipazione alla messa domenicale. Altrettanto importante è il richiamo alla centralità di essa (in particolare al n. 175) nell’enciclica Evangelii gaudium, programmatica del suo ministero pontificio (a tutt’oggi il testo più citato da papa Leone XIV). Il rapporto con la Parola di Dio, dunque, costituisce per l’evangelizzatore uno spazio ospitale in cui riconoscersi, da cui lasciarsi leggere e alla luce della quale ritrovare dinamicamente la propria identità cristiana come singolo e come comunità. Un programma che resta tuttora valido per tutti noi.
La “cascata” della Verbum Domini
I testi di Evangelii gaudium (anche quello sopra citato) sono pieni di riferimenti alla Verbum Domini, l’esortazione apostolica dopo la XII Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, voluta da papa Benedetto XVI. Nelle intenzioni di papa Ratzinger vi era la volontà di «riscoprire la centralità della Parola di Dio» nella vita personale e della Chiesa e «l’urgenza e la bellezza» di annunciarla.
Le novità che vi si riscontrano sono soprattutto due: da un lato, la sottolineatura di una «sinfonia della Parola» (VD 7), dall’altro una chiave di lettura unitaria, incentrata sulla persona di Gesù (il Verbo che si fa carne in Gv 1,14), che si dona per opera dello Spirito Santo nella Chiesa. Si tratta di una vera e propria «Cristologia della Parola»2. Le implicazioni sono evidenti: la rivelazione viene a essere colta come l’agire storico-personale di Dio e quindi come un evento vivente, personale e comunitario, non una visione dottrinale ma il darsi di Dio che naturalmente implica anche il dirsi di Dio. Come scrive Bernardo di Chiaravalle, Dio «dando rivela, e rivelando dà (dando se revelat, revelando se dat)»3. Al centro della fede cristiana vi è l’incarnazione del Verbo di Dio nell’uomo Gesù di Nazaret, che non professa una «inverbazione» e nemmeno una «inlibrazione»4. La «cristologia della Parola», come è definita in Verbum Domini, intendeva essere un’esplicitazione della Dei Verbum, affrontando i medesimi temi, ma con una particolare attenzione alla dimensione divina della Parola, nella consapevolezza della presenza di due livelli nel testo biblico: informativo e performativo; ossia non solo documentario, storico-letterario, ma anche come opera che contiene in sé un appello che proviene dal trascendente e chiama al trascendente, in una sorta di circolarità tra i due livelli5. Nella risalita della corrente, si può affermare che la Verbum Domini resta una cascata dalle molteplici ricadute. Soprattutto ha fatto progredire la riconciliazione fra Parola di Dio e contesto liturgico-ecclesiale.
Ritorno alla sorgente
E così si arriva alla sorgente della riscoperta della Parola di Dio, sviluppata da papa Francesco e da papa Ratzinger: la Costituzione dogmatica Dei Verbum del 18 novembre 1965. Il documento, nonostante la sua relativa compattezza (un proemio e 6 capitoli, suddivisi in 26 sezioni), come ebbe modo di scrivere Carlo M. Martini è «la chiave per intendere i principi di rinnovamento che animano tutti gli altri documenti conciliari»6. Non vi è stato trattato della teologia sistematica e morale, infatti, che non sia stato riplasmato a partire da almeno due principi: l’economia della salvezza e la dimensione trinitaria. Ha senso domandarsi se i percorsi aperti dalla Dei Verbum si siano o meno esauriti, se il secondo post-Concilio abbia realizzato quella centralità della Parola, sia pure in forme e modi nuovi e originali. In ogni caso alcuni punti fermi sono ormai acquisiti: la relazione fra la Chiesa e la Parola e il concetto di rivelazione. Il primo riguarda l’immagine stessa della Chiesa nella sua relazione con la Parola (Dei verbum religiose audiens et fidenter proclamans). Il secondo richiama la categoria della rivelazione. È noto quanto essa sia discussa nel dibattito teologico. Per alcuni sarebbe così importante da diventare capace di esprimere il cristianesimo nella sua globalità; per altri non può essere considerato un concetto-base7. Il termine all’interno della fenomenologia delle religioni indica l’incontro con il trascendente che si manifesta in vario modo (audizioni, visioni, divinazione, ispirazione, illuminazione, trance, ecc.). Nella teologia soprattutto cristiana (ma anche in parte ebraica e islamica): ad extra appare come criterio ultimo di legittimazione rispetto ad altre discipline; ad intra serve come criterio ultimo di interpretazione in merito alla trasmissione della fede, alla sua normatività. In ogni caso la Dei Verbum ne offre una visione dinamica, dialogica e storica. Tutto questo si esplicita al n. 2 ove il termine rivelazione ha uno sviluppo del tutto originale. Sin dall’inizio emerge la dimensione della grazia: il primo passo è di Dio; l’oggetto della rivelazione è il Seipsum revelare; la finalità è che gli uomini possano, attraverso Cristo, essere condotti al Padre (dimensione trinitaria) e diventare partecipi della natura divina. Il dirsi di Dio, di conseguenza, è un darsi che implica dialogo con l’umanità, un dialogo amicale (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15), un intrattenersi con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (cfr. DV 2). La natura amicale è evidente nella storia biblica: ad Adamo ed Eva rivolge la parola come amici nel giardino della relazione (cfr. Gen 2); poi ad Abramo (cfr. Gen 12,2) e a Mosè (cfr. Es 33,11) la parola della promessa; e ai profeti sia pure in modo meno diretto (cfr. Is 6,9; Ger 1,5; Ez 2,1), coinvolgendoli personalmente nella storia del popolo. Il partner dialogico di Dio è l’uomo, come del resto nel Nuovo Testamento è Gesù stesso ad affermare (cfr. Gv 15,14-15). La motivazione di questo dialogo è spiegata in base al suo grande amore (ex abundantia caritatis). L’homo religiosus biblico è amico di Dio8. Solo l’amore spinge Dio a rivelarsi con azioni e parole e come tale chiede l’amore che si manifesta nell’ascolto. Vi è come una sinergia tra l’amore che parla e l’amore che ascolta come avviene in ogni autentica amicizia. L’amore diventa, in qualche modo, la prima condizione di accesso alla rivelazione, una condizione epistemologica fondamentale9. Il passaggio successivo invita a riflettere sulla prospettiva fondamentalmente sacramentale che caratterizza e orienta la rivelazione cristiana in un orizzonte economico-salvifico: «gestis verbisque intrinsece inter se connexis» (DV 2). Dietro questa lettura appare evidente la lezione semantica relativa al termine dābār (circa 2650 volte nella Bibbia ebraica) che significa sia «parola» che «atto». I lessicografi (sebbene la questione sia molto dibattuta) distinguono nel termine ebraico almeno due radici diverse: da un lato «essere dietro» (il debir del Tempio, cioè la sua parte posteriore, il Santo dei Santi10) o «volgere le spalle», con una sfumatura di «qualche cosa di nascosto, che sta per essere spinto in avanti», e dall’altro lato il rendere il vocabolo come «parola» o «cosa»11. Il dābār conserva, nell’Antico Testamento, l’aspetto di attività espresso dal verbo, come «affare», «avvenimento» o «episodio». Nel Nuovo Testamento, il termine ebraico è tradotto con due vocaboli greci: logos e rēma, che stanno tra loro in un rapporto di circa 2 a 1 nelle ricorrenze dei libri canonici. Logos significa di solito «parola», «vocabolo», «idea», «ragione», mentre rema può voler dire, come per l’ebraico, «una cosa detta», «un fatto annunciato» (Lc 1,37ss). Non vi è, a priori, differenza di senso tra le due voci greche. Questo breve excursus mostra che ci troviamo di fronte alle principali dinamiche evidenziate nel proemio della Dei Verbum: nascondimento/rivelazione; significante/significato; informatività/performatività; gesti/parole. Nella parola è contenuta tutta la teologia che da essa promana per indicare l’azione di Dio volta alla sua autocomunicazione.
Per dissentarsi ancora (le questioni aperte)
In conclusione, nella ricezione della Dei Verbum restano aperte alcune questioni di indole teologica e pastorale. In particolare occorre una concezione cristiana della rivelazione, che tenga presenti le diverse metafore e immagini dell’agire di Dio (la voce di Dio nel cosmo; la voce di Dio che risuona nel Figlio redentore e giudice; la voce interiore dello Spirito); una visione ecumenica della rivelazione (che integri accenti orientali e occidentali); una concezione che entri in un dialogo con le altre religioni di tipo integrativo nelle esperienze, in una sorta quasi di reciproco accompagnamento; una apertura dialogica fra fede e scienza, possibile per via di teorie epistemologiche che si ispirano a un modello di rivelazione della conoscenza. Sul piano più pastorale, si è vissuto a livello di animazione biblica, in questi 60 anni dal Concilio, qualcosa di straordinario: la Sacra Scrittura è ritornata nelle mani dei credenti, la Parola di Dio al centro della vita ecclesiale, ma questa rivoluzione sembra essersi un po’ appannata. Riguardo ai due livelli, quello dell’indagine scientifica e quello dell’animazione biblica, chiediamoci quali progressi possiamo cogliere e se la stagione delle scuole della Parola è ancora viva o rischia di continuare in modi stanchi, e in quale modo possa essere innervata da una maggiore popolarità, che ovviamente non significhi banalizzazione. Inoltre, come aiutare le nostre realtà ecclesiali sempre pronte a idolatrare una tradizione corta, a riscoprire la Tradizione lunga, in un confronto che faccia cogliere il volto di Dio nei volti e nelle storie dei fratelli e delle sorelle. E chiediamoci anche se l’esegesi (fermo restando il suo compito e la sua corretta metodologia) non sia chiamata a evitare un eccessivo tasso ipercritico, per essere sempre più a servizio della pastorale e del confronto culturale. Per questo è necessaria la mediazione di nuovi animatori biblici, nuovi pastori, nuovi teologi: quelli che ci sono stati e/o sono venuti meno o forse sono stati troppo pochi o troppo poco capaci di leggere la Bibbia nella tradizione vivente della Chiesa e secondo le domande della gente del nostro tempo. Se prenderemo coscienza di queste difficoltà, insieme agli immensi doni ricevuti e ai progressi fatti, rimossa qualche pietra che ostruisce il flusso, dalla sorgente continuerà a zampillare acqua fresca per dissetare il popolo di Dio.
Note
1 Cfr. A. Riccardi, Sacra Scrittura, forza del popolo di Dio. Contemporanei non conformisti, in «Avvenire», 1 ottobre 2019.
2 Cfr. VD 11-13; E. Marlés Romeu, La Cristología de la Palabra: en la Dei Verbum y en la Verbum Domini, in «Revista Catalana de teología», 1 (2014), pp. 61-75.
3 Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, I, VivereIn, Roma 2013, sermo VIII, 5, p. 90.
4 Cfr. K. Koch, «Dei Verbum: continuità e nuovi approfondimenti», Dei Verbum Festival, Sanremo, 28 agosto 2023: https://www.christianunity.va/content/unitacristiani/it/cardinal-koch/2023/conferences/Dei-Verbum-Continuita-e-nuovi-approfondimenti.html .
5 Cfr. C. Aparicio Valls, S. Pié-Ninot (a cura di), Commento alla Verbum Domini. In memoria di P. Donath Hercsik, Gregorian and Biblical Press, Roma 2012, pp. 75-83.
6 C. M. Martini, Alcuni aspetti della costituzione dogmatica Dei Verbum, in «La Civiltà Cattolica», vol. 117/2, n. 2781, 1966, pp. 216-226.
7 Cfr. G. Ruggieri, La problematica della Rivelazione come “concetto fondamentale” del cristianesimo, in D. Valentini (a cura di), La teologia della Rivelazione, Edizioni Messaggero, Padova 1996, pp. 81-105.
8 Cfr. A. Puig I Tarrech, Teologia della Parola. Alla luce della Dei Verbum, LEV, Città del Vaticano 2016, p. 26.
9 Per cogliere la rivelazione nell’orizzonte dell’amore, un punto di riferimento imprescindibile è senza dubbio rappresentato dal pensiero di J-L. Marion: cfr. E. Campagnoli, L’Altrove della Rivelazione. Una provocazione alla teologia da parte del filosofo Jean-Luc Marion, in «La Scuola Cattolica», 3 (2022), pp. 449-481.
10 Cfr. 1Re 8,6; 2 Cr 5,7; Sal 28,2.
11 Cfr. E. Jenni, C. Westermann, Dizionario Teologico dell’Antico Testamento, edizione italiana a cura di Gian Luigi Prato, vol. I, Torino 1978, pp. 376, 380.

