La Sorella maggiore: Armida Barelli e la santità nell’ordinario

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Fondatrice della Gioventù femminile di Azione cattolica e dell’Opera della Regalità, promotrice della nascita dell’Università Cattolica, Armida Barelli è una figura fondamentale del laicato cattolico in Italia tra XIX e XX secolo. Testimone di una santità vissuta nel quotidiano, è stata di esempio per tante donne e precorritrice di una presenza attiva dei laici nella vita della Chiesa.

Armida Barelli nasce a Milano il 1° dicembre 1882 e si spegne a Marzio (Va) il 15 agosto 1952, all’alba della festa dell’Assunta, per una paralisi bulbare che, in tre anni, le toglie la voce, le forze, i movimenti. Armida vive tutto con la piena fiducia nel Sacro Cuore, non smettendo mai di lavorare e di condividere sogni, neppure in punto di morte, come la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica.
Questa donna, infatti, nella sua esistenza terrena, aveva sempre allargato i propri orizzonti oltre l’immaginario e il sentire comune, vivendo i grandi cambiamenti che avevano investito l’Italia (e l’Europa) tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, passando tra due conflitti mondiali. Di lei possiamo dire che «stette da protagonista sul crinale che separa[va] due stagioni della storia della Chiesa».
Appartenente alla borghesia milanese animata dai valori risorgimentali e lontana dalla pratica religiosa, trovò nella fede la risposta alle sue domande esistenziali. A questa fede intraprendente e audace si devono le grandi opere che ha fondato o che ha contribuito a fondare.

Il cammino di una donna e di una credente
Ripercorrere la vicenda di Armida Barelli significa riflettere sul suo cammino umano e cristiano, che può ispirare anche il nostro. Non nacque santa né perfetta né sicura di ciò che voleva fare; la sua vita fu un cammino progressivo guidato dalle sue intuizioni, dal suo coraggio, dai suoi sogni, ma anche dagli incontri con persone significative, in un ascolto costante di quelli che oggi possiamo definire i segni dei tempi. Un cammino non sempre facile per lei, per le sue condizioni di salute, per la sua educazione, per i rischi di cedere alle lusinghe della tradizione.
Armida è destinata al matrimonio e, a differenza dei due fratelli maschi (uno ingegnere e l’altro medico), con le sue due sorelle è mandata a studiare in un convento della Svizzera tedesca, a Menzingen, una delle migliori scuole per preparare future spose e madri. Qui Armida incontra Dio per la prima volta.
Tornata a Milano, grazie all’amica Rita Tonoli, inizia ad aprire gli occhi sulle realtà di povertà della sua città, dedicandosi in modo particolare ai bambini. È un passo nuovo che le fa sentire la gioia e la bellezza di darsi agli altri, ma è ancora nell’ordine di un’opera assistenziale; Ida cerca, forse senza saperlo, altro.
La svolta radicale della sua vita avviene quando l’11 febbraio del 1910 incontra padre Agostino Gemelli, un giovane medico, da poco convertito e divenuto frate francescano. Armida è pronta a compiere qualunque sacrificio e penitenza per convertire i fratelli. Gemelli le risponde di lasciar fare a Dio e le prospetta l’insolita via del lavoro come strada gradita a Dio. Il lavoro appare così a lei, destinata per la sua condizione sociale a non lavorare, come una via nuova, una via ascetica che, per raggiungere la santità, non obbliga a lasciare l’ordinario della vita, ma anzi lo assume con competenza e con passione. Sono i primi passi di quella che potrebbe essere chiamata una mistica del lavoro.
La Barelli conserva certamente alcuni tratti di una spiritualità tradizionale, eppure la sua caratteristica principale, la fede, nasce per lei da una visione rinnovata di Dio: la fiducia nel Sacro Cuore. Nel cuore di Gesù incontra l’amore del Signore per lei e per il mondo; trova non un Dio lontano e terribile, ma un Dio al quale ci si può rivolgere anche con “birichina” fiducia. In Lui le sue paure saranno vinte e potrà consegnarsi definitivamente a una missione che tutta la coinvolge a servizio del Regno.
 
Dentro la storia
Padre Gemelli e Armida vivranno per tutta la vita un rapporto di collaborazione e amicizia forte e insieme straordinaria. Gemelli non è il padre spirituale di Ida ed entrambi crescono in una relazione alla pari, di reciprocità, che certo è nuova per il tempo e non solo. Per entrambi iniziano a delinearsi strade nuove, in un confronto franco e aperto. Tra loro è Ida che sogna sempre più in grande, che spinge oltre l’intuizione di Gemelli. Sarà così che nasce l’Università Cattolica nel 1921. Di fronte ai dubbi e alle incertezze di Gemelli per l’immensità dell’opera, la Barelli insiste, trova la sede e il primo milione necessario e, con determinazione, rimane ferma, davanti anche al papa, nel rispettare il voto di dedicarla al Sacro Cuore.
Percorrendo la biografia della Barelli non possiamo non notare che la sua storia personale si intreccia con quella dell’Italia; ciò avviene non solo per inevitabile contatto, ma perché questa donna si appassiona alle vicende del mondo, le sente affidate anche a lei, dalla consacrazione dei soldati nel 1917 fino all’impegno per preparare le italiane alla prima esperienza di voto nell’immediato dopoguerra.
Nel 1917 il cardinale di Milano, Andrea Carlo Ferrari, chiama proprio la Barelli per formare le giovani milanesi. Lei indietreggia. Avrebbe accettato senza indugio un lavoro di ufficio, non questo. Bisogna ricordare che, generalmente, in quel tempo le donne non viaggiavano da sole, non parlavano in pubblico, non prendevano parola nelle decisioni ecclesiali, non avevano diritto di voto e molte norme sociali le ponevano in una situazione di “sottomissione” nella famiglia e nella società. Il cardinale la congeda con parole amare. Eppure qualche giorno dopo, di fronte alla notizia che in una scuola un gruppo di ragazze non ha avuto il coraggio di dichiararsi credente, torna sui suoi passi e accetta il compito che le era stato proposto.
Forse è troppo dire che si iniziava ad ascoltare la storia come “parola” di Dio, ma di fatto è significativo che la Barelli dica no al suo arcivescovo ma non alle sollecitazioni della storia.
Nel 1918 Benedetto XV la chiama per occuparsi delle giovani in tutta Italia. Nasce così la Gioventù femminile di Azione cattolica (Gf). Forse nessuno pensava, in quell’inizio incerto e titubante della Barelli, che la Gf sarebbe arrivata ad avere più di un milione di socie e a trasformare la realtà di molte donne italiane.
La Barelli si sente forte della sua fede nel Sacro Cuore, del mandato ricevuto dal papa, ma anche della sua fiducia nei giovani, negli altri. Attraverso la Gioventù femminile le donne diventano visibili, per la prima volta, non come rara eccezione o attraverso singole figure, ma come una presenza capillare, costante, “normale”, tutt’altro che passiva, nella comunità ecclesiale e nella società.
Le donne trovano, nel cammino proposto da Ida, la possibilità di cambiare un ruolo che le relegava nell’ambito domestico e nel silenzio da patriarcali consuetudini sociali, che influenzavano anche la visione della Chiesa e l’interpretazione delle Scritture.
Le donne della Gf studiano, iniziano ad essere preparate; si muovono con autonomia, parlano in pubblico, viaggiano, si assumono responsabilità in molti campi della vita sociale ed ecclesiale, acquisiscono sicurezza in se stesse, tanto che sapranno resistere anche al fascismo e alla complessità di comunicazioni e spostamenti imposti dalla Seconda guerra mondiale.
La Barelli, pur senza teorizzare niente di femminista, offrì alle donne cristiane (e qui il numero di più di un milione di socie Gf è rilevante) di poter essere, di fatto, pienamente persone e come tali chiamate a realizzare, con libertà, se stesse nei vari e diversi ambiti della vita e della società.
Queste giovani donne riescono a stabilire rapporti nuovi con il clero e con la gerarchia, lavorano insieme in una collaborazione che è l’anima dell’associazione. La Barelli per tutte queste donne è «sorella» (sorella maggiore); nasce, con lei, una solidarietà al femminile, una complicità, una sororità straordinaria, un legame forte che le donne sperimentano al di là del ceto sociale, della cultura, della provenienza; è una realtà assolutamente nuova nella storia italiana.
Benedetto XV aveva affidato alla Barelli una missione, ma l’organizzazione è tutta sua e sua è la parola calda e affascinante che conquista le giovani di tutta Italia, che permette loro di intravedere un ideale che vale più della vita; sua è la modalità femminile di vivere «eucaristicamente, apostolicamente, eroicamente» l’avventura di essere a servizio del Regno di Dio. Suo è lo straordinario lavoro per un’unità italiana che collega senza pregiudizi le donne del Nord (a cui appartiene) e quelle del Sud e delle isole, nelle quali ripone piena fiducia. I suoi orizzonti si dilatano verso la Chiesa universale quando chiede di sostenere una missione francescana in Cina e aiuta, con la Gf, alcune giovani cinesi che desiderano consacrarsi a Dio in quella che ancora oggi è la Congregazione delle suore francescane del Sacro Cuore.
Ida non lavora da sola. Non si percorrono strade nuove “in solitaria”, anche se ne siamo i pionieri, ma dentro una comunione che è già espressione ed esperienza autentica di Chiesa. Nel suo intenso lavoro, nei suoi viaggi inimmaginabili oggi, tra le macerie di due guerre mondiali, Armida non dimentica mai di inviare un biglietto, una immaginetta, una lettera, un augurio.
 
Una proposta di santità
Ida non è una donna da mezze misure, non si accontenta di poco; chiede, a se stessa e agli altri, molto.
Propone infatti non solo un impegno di apostolato, ma un percorso di santità. Una santità proposta e vissuta, spesso, nell’eroicità dell’ordinaria vita cristiana, in famiglia, nel lavoro, «nell’apostolato nel mondo».
La Barelli, che aveva scoperto che «francescani si nasce e non si diventa», comprende con gioia che «il francescano non disprezza il mondo [...], non fugge la società con paura o disgusto. La rinuncia di san Francesco è altra: non nega la bellezza della vita, perché sarebbe disconoscere il suo Amore; non nega l’amore; nega il possesso e il desiderio del possesso».
Sull’esempio di san Francesco vive l’Eucarestia in un tempo nel quale la centralità della Parola e dell’Eucarestia non erano così evidenti e darà vita, con padre Gemelli, all’Opera della Regalità per aiutare i laici a crescere nella comprensione e nella partecipazione liturgica.
Dentro le vicende della storia e della sua vita Ida scopre anche la sua vocazione.
Anche in questo caso il suo non è un percorso lineare, come non lo è, quasi mai, quello di chi intraprende percorsi nuovi.
Armida non si sente chiamata al matrimonio, ma le sole alternative che aveva di fronte erano quelle di farsi monaca o religiosa. Ida le prende seriamente in considerazione, sebbene dentro di sé non riesca a decidere.
Mentre viaggiava infaticabilmente per l’Italia, le risuonavano certamente le parole di augurio di Gemelli: «Il Signore l’assista e faccia di lei una santa laica nel vero senso della parola […] com’erano le prime vergini e martiri cristiane che hanno ingigantito la missione della donna nel mondo. E chissà quale parte hanno avuto nella
diffusione del cristianesimo! Così deve fare lei, laica, ma santa».
Mentre Gemelli pensava, inizialmente, forse a lei sola per questa scelta audace, Ida chiedeva a Dio di darle delle sorelle, di allargare ad altre questa possibilità, che il Codice di diritto canonico non prevedeva e che, con grande difficoltà, la Chiesa avrebbe accolto solo molti anni dopo, nel 1947 con la Provida Mater Ecclesia.
Alla fine di un lungo percorso, il 19 novembre 1919, nella chiesa di San Damiano ad Assisi, Armida e un piccolo gruppo di donne, provenienti da tutta Italia, si consacrarono a Dio per l’apostolato nel mondo, dando vita all’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo.
La Barelli fu donna obbediente, devota, talvolta quasi ingenua nel suo filiale rapporto nei confronti di tre diversi pontefici (cosa del tutto straordinaria nella storia della Chiesa), ma seppe sostenere le opinioni proprie anche di fronte a loro con un’obbedienza matura e responsabile. Lo fece soprattutto, pagando un alto prezzo, per il riconoscimento della famiglia francescana delle Missionarie della Regalità. Ripercorrere la storia di questo riconoscimento permette di comprendere quanto faticò ad essere accolta, forse non tanto e non solo una nuova forma di vita consacrata, ma un nuovo modo di dire Dio e uno stile inedito di vita per le donne. Da una parte, infatti, l’esperienza della consacrazione secolare sollecitava (e sollecita) la riflessione teologica a cogliere sempre meglio la presenza di Dio operante nella storia, l’idea audace che Dio trasformerà le cose dal cuore stesso del mondo. Dall’altra, voleva dire riconoscere che le donne erano divenute “adulte”. Grazie anche alla loro «sorella maggiore», prima che la legislazione civile lo riconoscesse, erano ormai capaci di gestire la propria vita e le proprie scelte con responsabilità personale.
 
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Antologia
 
[ndr, Tornando dal suo primo viaggio in Sicilia:] Ho sentito in tanta diversità di indole e di costumi, la meravigliosa fratellanza cattolica, che fa delle fanciulle siciliane le nostre sorelle carissime legate a tutte le giovani d’Italia da un filo d’oro che nessuno potrà spezzare [...]. Avanti insieme per Gesù. Tutte insieme, professoresse e analfabete, aristocratiche e contadine, studenti e operaie, maestre e impiegate, casalinghe e artigiane, siamo tutte una sola, bella, grande famiglia cristiana.
(M. Sticco, Una donna fra due secoli, Edizioni OR,
Milano 1983, pp. 272.135-136)
 
Sorelle dilettissime nel S. Cuore, quando leggerete queste righe, la vostra prima «sorella maggiore» sarà morta. Ma essa che è stata il povero strumento per la diffusione della sua cara Gioventù Femminile e vi ha amate, una per una, nel Cuore adorato del suo Gesù, vuol farvi giungere anche dall’al di là una sua parola, una sua supplica ardente.
Supplica anzitutto: non accontentatevi di essere le tiepide socie della GF di A.C., non accontentatevi neppure di essere buone alla buona: apostole vi voglio, apostole che amano e fanno amare il Signore!
[...] Breve tanto è la vita sorelline mie! Spendetela bene, spendetela per Colui che solo ne è degno e solo può darvi la felicità eterna.
(Testamento alla Gioventù femminile, in I. Corsaro,
Armida Barelli, Vita e Pensiero, Milano 1954, pp. 187-188)
 
Voglio lasciare a quante leggeranno queste pagine il talismano della mia vita: la fiducia nel S. Cuore.
Sì confidate in Lui sempre, nelle ore liete per non prevaricare, nelle ore tristi per non soccombere nelle difficoltà per superarle, nelle prove per valorizzarle, nel lavoro per compierlo soprannaturalmente, nella scelta dello stato di vita per capire e fare la volontà di Dio, in ogni contingenza della vita, onde vivere sempre in stato di grazia ed essere in grazia nell’ora della morte, quando Egli vorrà, che sarà dolce sul Suo Cuore.
(A. Barelli, Tra sorelle, in «Squilli di risurrezione»,
27 ottobre 1946)
 
Noi della Gioventù femminile sentiamo che non con la violenza, l’odio, la guerra fratricida si possono condurre gli animi alla pacificazione sociale; noi sentiamo che non vi può essere assetto duraturo
se non fondato sulla pietra angolare che è la fede in Cristo; e aggiungiamo che sempre e dovunque, vogliamo aperto, schietto, dichiarato, vissuto un programma di pace e di carità cristiana [...] non può la GFCI schierarsi con nessuno che, dimentico o negatore della legge d’amore predicata dal Vangelo, getta il seme di rinnovate discordie; non può.
Ma per la sua missione nel nome onnipotente di Cristo, deve sopire le ire, smorzare gli odi, sedar le vendette e affrettare, come ha promesso, come ha giurato, l’avvento del regno di Dio nella patria nostra diletta. Ecco perché la GFCI non può e non deve entrare nei fasci.
(A. Barelli, La sorella maggiore racconta,
Ave, Roma 2015, pp. 96-97)
 
Terminata la guerra ci si attendeva la pace, invece quanti odi, quanti furti, quanta disonestà! Tocca a noi, sorelle, lavorare per riparare i danni della guerra e per ottenere una vita tranquilla, serena, cristiana. Come? Preparandoci al voto e persuadendo tutto l’elettorato femminile a votare per i deputati cristiani che ci daranno leggi cristiane e governo cristiano.
(A. Barelli, Fascicolo 123, 1945, 58 bis e 58 tris,
in Archivio Barelli, ISM, Milano)
 
Sono qui con me le quasi mille mie sorelle Missionarie. A nome di tutte ti ringrazio per questi venti anni di grazie; a nome di tutte ti chiedo perdono per quanto in noi ti è spiaciuto, a nome di tutte ti riaffermo il nostro incommensurabile amore, l’ardente desiderio di amarti ancor più e di farti amare dal maggior numero di anime possibile.
(A. Barelli, La nostra storia. L’Istituto secolare delle Missionarie
della regalità di Cristo, pro manuscripto, Milano 1972, p. 189)
 
Sentite sorelline, sono tre mesi che lavoriamo per ottenere questa sede [per l’Università Cattolica]. L’abbiamo avuta a prezzo relativamente basso perché essendo un monumento nazionale, non è commerciabile. Col governo le condizioni non si possono fare. Le fa lui. O prendere o lasciare. Abbiamo pregato assai, abbiamo fatto sedute di ore e ore per discutere il da farsi. Conveniva lasciar prevalere la prudenza e dire: «Rinunciamo», o lasciar prevalere la fiducia nel Sacro Cuore e dire: «Accettiamo»? Abbiamo rivissuto la storia dell’Università, ci sarebbe oggi se fosse prevalsa la prudenza? No. C’è perché è prevalsa la fiducia, un’infantile fiducia nel Sacro Cuore, ed egli ci ha condotte per mano e mai ci ha fatto mancare il suo aiuto, perché non lavoravamo per noi, ma per lui, per la sua causa, per la sua Chiesa.
(M. Sticco, Una donna tra due secoli, cit., p. 388.
Testo del 15 febbraio 1927)