La vita tra dono e compito

di 

Siamo posti, anche oggi, dinanzi a nuove sfide che ci interpellano e chiedono decise prese di posizione, perché riguardano la nostra capacità di sostare dinanzi al mistero e al dovere di preservare la vita umana. Siamo chiamati ad operare e a spenderci per promuovere una cultura della vita nei diversi contesti nei quali ci impegniamo ogni giorno, perché, come ha ricordato papa Francesco, «si tratta di agire sul piano culturale ed educativo per trasmettere alle generazioni future l’attitudine alla solidarietà, alla cura, all’accoglienza, ben sapendo che la cultura della vita non è patrimonio esclusivo dei cristiani, ma appartiene a tutti coloro che, adoperandosi per la costruzione di relazioni fraterne, riconoscono il valore proprio di ogni persona, anche quando è fragile e sofferente» (Udienza generale, 25 mercoledì 25 marzo 2020).
Ma come essere fedeli e coerenti al mandato che ci è stato consegnato, come tutelare e difendere la vita, specie quando è offesa e negata, svilita e considerata meno di niente?
L’esperienza di quest’ultimo anno avrebbe dovuto renderci più sensibili e disponibili gli uni gli altri, ricondurci dinanzi alla nostra estrema fragilità e vulnerabilità e fatto sentire tutti più prossimi. Purtroppo gli slogan e gli striscioni dei primissimi giorni dopo l’inizio della pandemia oggi sono sbiaditi, come i poster delle pubblicità sotto la pioggia battente, in questo caso sotto i colpi dell’egoismo che, sempre, riesce ad avere la meglio, anche sulle migliori buone intenzioni.
Quel senso di solidarietà che ci aveva fatto sentire più vicini, perché assediati insieme e nello stesso tempo da un male invisibile e così potente da falcidiare le nostre esistenze, colpendoci nei nostri affetti più intimi, oggi sembra dileguato. Come bestie feroci sembriamo tutti presi dalle logiche del branco, più che da quelle dell’essere e sentirsi membri della stessa e grande famiglia umana.
Assistiamo inermi alle continue morti sul lavoro, ai drammi delle guerre che ancora si consumano in molte parti del mondo, alle migliaia di vite interrotte nei nostri mari che sono divenuti tombe senza lapidi né fiori dei tanti sconosciuti di cui ormai nessuno più si prende nemmeno la briga di protestare.
Siamo portati a difendere solo ciò che ci appartiene, che sentiamo come nostro e che rivendichiamo come un diritto inalienabile. Le nostre vite scorrono guardando solo ciò che ci è dipresso, teniamo fermo lo sguardo alle cose più prossime, che tendiamo a proteggere nel timore che possa venire qualcuno di nascosto a sottrarcele.  Accaparrarsi i primi posti, avere tutto nel minor tempo possibile, reagire emotivamente alle notizie senza ponderare le risposte, condividere immediatamente con gli altri, invece di assaporare il gusto di un’esperienza nel momento in cui viene vissuta, senza sostare in silenzio dinanzi allo sguardo di chi amiamo; tutta la complessa rete di interconnessioni con cui navighiamo nel tempo presente ci conduce a contrarre sempre più la dimensione dell’attesa, facendo svanire la capacità di meditare, di progettare a lungo termine e contemplare a distanza, le diverse esperienze e realtà nelle quali siamo immersi. In questa tirannia dell’istantaneo siamo divenuti tutti più restii ad accogliere la novità della vita nascente, che però è inaspettata, sorprendente e non si lascia piegare agli egoismi e agli interessi individuali.

C’è un di più nella vita, di cui stiamo perdendo il gusto, perché nessun essere umano è lì dove lo vediamo, ma è sempre altro e oltre la nostra miope capacità di visione, ogni creatura vivente sa donarci qualcosa di imprevedibile e inatteso se solo la lasciamo essere ciò che è: dono e compito.
In questa prospettiva hanno valore di un impegno, che dovremmo assumerci tutti, le parole che, in questi giorni, il Papa ha pronunciato agli Stati Generali della Famiglia, pensieri che ci vengono consegnati non per essere depositati o custoditi come una reliquia del passato, ma per tradursi e trasformarsi in progetti di vita personali e comunitari: «La vita è il primo dono che ciascuno ha ricevuto» e per questo dovremmo «ritrovare il coraggio di donare, il coraggio di scegliere la vita», sempre e comunque.