Antropocene: il dialogo spezzato con la Terra

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Questo articolo è tratto da un contributo dell’autore pubblicato sul numero 4/2020 della rivista Dialoghi. Titolo del numero “Il dialogo nella creazione”. 

Parole nuove sorgono ogni giorno – e altrettanto velocemente muoiono. A volte però ne emergono alcune per le quali la novità dà espressione a nuove esperienze del mondo. Tra di esse si colloca certamente Antropocene, coniata per raccogliere il portato di un gran numero di fattori relativi al nostro rapporto con l’ambiente. Sono tanti i fenomeni degli ultimi anni che segnalano un mutato rapporto con la Terra. Si pensi alla tempesta Vaia che ha devastato le Dolomiti nel 2018, all’aqua granda che ha colpito Venezia nel 2019 con inusitata violenza, al divampare di incendi da calore in terre come la Siberia e l’Alaska. O allo scioglimento dei ghiacciai groenlandesi, che dura ormai da cinquant’anni, ma con ritmi crescenti (nell’ultimo decennio, sei volte superiori rispetto a quelli del periodo 1980-1990); con un simile trend di accelerazione, alla fine di questo secolo la sola Groenlandia potrebbe contribuire all’innalzamento del livello medio degli oceani anche per 75 centimetri. Fenomeni a prima vista diversi, ma accomunati da un’unica causa: quel mutamento climatico che sta drammaticamente ridisegnando lo stato del pianeta. I suoi impatti colpiscono pesantemente aree diverse, ma con effetti non distribuiti uniformemente: c’è un effetto di esacerbazione della povertà, che ha spinto autorevoli osservatori a parlare di un’apartheid climatico: le aree meno dotate economicamente faticano a proteggere gli abitanti dalle conseguenze del mutamento, evidenziando il grave problema della giustizia climatica. Non a caso parliamo di giustizia: non abbiamo qui a che fare con un fenomeno naturale, paragonabile ai terremoti, ma ad una dinamica legata all’agire umano e carica quindi anche di valenze morali. Delle trasformazioni che ci inquietano, infatti, siamo anche corresponsabili: l’origine del fenomeno è in gran parte antropica. Gli storici dell’ambiente documentano l’impressionante crescita delle emissioni di carbonio da parte dell’umanità rispetto all’era preindustriale.

[…] Quando parliamo di Antropocene assumiamo un punto di vista specifico nell’interpretare tali fenomeni: sottolineiamo come in essi sia l’agire umano ad aver fatto sentire – specie negli ultimi decenni – il proprio impatto sull’ecosistema planetario. È per dare espressione a tale coscienza che il premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen (1933-) ha proposto tale termine, ormai impostosi nel dibattito internazionale per indicare una nuova fase della storia del pianeta Terra. Un’era geologica in cui la presenza umana è il principale fattore che determina le dinamiche di una Terra divenuta ormai pianeta umano, con un’ecologia codeterminata per circa il 75% dall’azione della nostra specie. […] Il nostro rapporto con la Terra muta drasticamente: tecnologia e organizzazione sociale la stanno plasmando in profondità con conseguenze contraddittorie; come sottolinea la relazione di sintesi del Rapporto Soer 2019 dell’Agenzia europea dell’ambiente: «La percentuale di popolazione mondiale che vive in estrema povertà è diminuita nettamente: dal 42% nel 1981 a meno del 10% nel 2015. Lo stesso sviluppo costituisce, tuttavia, la causa di danni diffusi agli ecosistemi. A livello globale, circa il 75% dell’ambiente terrestre e il 40% dell’ambiente marino sono adesso gravemente alterati».

[…] Non stupisce allora che nella preghiera del 27 marzo 2020, nel pieno della pandemia, papa Francesco parlasse di un «pianeta gravemente malato»: la prospettiva dell’ecologia integrale insegna a cogliere anche connessioni meno evidenti. E nella stessa direzione guarda la riflessione del Consiglio ecumenico delle Chiese, che fin dagli anni Novanta elabora la propria ricerca ecosociale a partire dall’ascolto della voce delle vittime del cambiamento. […] Quello stesso Antropocene che rivela la potenza acquisita dall’umanità con la tecnologia ne mostra al contempo tutta la vulnerabilità dinanzi alla natura che essa stessa ha contribuito a trasformare. Avvertiamo un senso di fragilità: quella delle strutture ecosistemiche coinvolte nei cambiamenti di questi decenni e quella della vita umana esposta ai loro effetti. Scopriamo di abitare un pianeta vulnerabile, delicato, esposto al rischio di catastrofiche transizioni (come una struttura cui si tolga una vite per volta, finché – esaurita la ridondanza dei supporti – “improvvisamente” collassa). Scopriamo però al contempo di essere noi stessi umani vulnerabili, dipendenti dallo stato del pianeta: i sogni transumanisti di un superamento per via tecnica dei limiti fisici non cancellano il nostro legame alla Terra.

[…] Proprio l’inedita condizione della famiglia umana sulla Terra esige, dunque, un rapporto più equilibrato con la casa comune; domanda di coltivare una responsabilità davvero all’altezza della potenza di cui disponiamo. L’Antropocene dice di un grande potere a nostra disposizione, ma esso va orientato a una coltivazione della terra che sia al contempo custodia (secondo l’indicazione di Gen 2,15); a una cura che garantisca futuri abitabili alle prossime generazioni. Quando si scopre di navigare incontro a una devastante “tempesta perfetta”, è tempo di cambiare rotta, di farlo subito, di farlo con le energie disponibili. Come sottolinea Barrau, è una grande sfida per l’umanità, ma dobbiamo provare a vincerla, a vincerla insieme e a farlo ora. La logica di Laudato si’ si incontra allora con quella di Fratelli tutti: solo nella fraternità e nell’amicizia sociale possiamo generare quella corresponsabilità che è necessaria per questa sfida.