La tappa continentale del Sinodo in ascolto delle “culture”

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L’articolo riflette sulla tappa continentale del Processo sinodale 2021-24. Dopo aver presentato l’apposito Documento di lavoro, pubblicato a partire dalle sintesi nazionali, l’autore individua nell’ascolto delle “culture” l’obiettivo specifico delle Assemblee continentali, auspicando che  la loro convocazione preluda allo sviluppo delle “Chiese regionali” come nuovo soggetto ecclesiale.

Il 27 ottobre 2022 è stato pubblicato il Documento di lavoro per la tappa continentale (DTC), che – come lascia intendere il nome – rappresenta il primo Instrumentum laboris (“strumento di lavoro”) del Cammino sinodale 2021-2024. Si tratta del documento destinato a preparare e orientare i lavori delle sette Assemblee continentali in programma tra i mesi di febbraio e marzo 2023 (Europa, America del Nord, America Latina, Asia, Africa, Oceania, Medio Oriente), le cui sintesi confluiranno nel secondo Instrumentum laboris, che fungerà invece da testo  preparatorio per l’Assemblea generale del Sinodo convocata dal papa per l’ottobre 2023 e l’ottobre 2024.

Il documento è stato redatto da un’équipe internazionale di esperti a partire dalle sintesi nazionali giunte da tutto il mondo, che a loro volta avevano compendiato i resoconti delle Chiese locali. In totale – informa il n. 5 del DTC – sono pervenuti alla Segreteria del Sinodo i  contributi di 112 Conferenze episcopali, 15 Chiese orientali sui iuris, 17 Dicasteri vaticani, la risposta congiunta dei Superiori e delle Superiori maggiori, nonché svariati altri testi trasmessi da singoli, gruppi e movimenti. Ci troviamo così in presenza di una consultazione di  eccezionale ampiezza e capillarità, che ha coinvolto un numero imprecisato di comunità cristiane e gruppi ecclesiali, piccoli e grandi. Una consultazione che, anche al di là del tema specifico per il quale è stata indetta, ha la capacità di “offrirci il polso” della situazione attuale  della Chiesa cattolica, del suo “stato di salute” e delle eventuali “patologie” che la affliggono.

Al tempo stesso, il DTC costituisce inevitabilmente una sintesi delle sintesi – se non, addirittura, una sintesi (generale) delle sintesi (nazionali) delle sintesi (diocesane) – con tutti i rischi che una simile operazione comporta: semplificazioni, livellamenti, se non proprio filtri e  censure. Presentando il testo alla stampa, il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo, ha tuttavia usato parole rassicuratrici, precisando che, per quanto possibile, «il Documento è una fedele restituzione delle sintesi. Il lavoro del gruppo di esperti è stato improntato a  onestà intellettuale: come potrete verificare, non ci sono riflessioni teoriche sulla sinodalità, ma riprese della voce delle Chiese. Per tutti noi è stata una sorpresa ascoltare come, pur nella differenza di sensibilità, il Popolo santo di Dio converga nel chiedere un profondo  rinnovamento della Chiesa»1.

Il desiderio di “intrecciare” Sinodo e culture

Quella delle Assemblee continentali rappresenta una novità assoluta nella storia quasi sessantennale del Sinodo, una delle molte novità del Processo sinodale 2021-2024. La via era stata già aperta dalla costituzione apostolica Episcopalis communio del 15 settembre 2018,  con cui papa Francesco ha ripensato il Sinodo dei vescovi da evento a processo, scandendolo in tappe che coinvolgano l’intero popolo di Dio nella varietà delle sue componenti2. Ma questa è la prima attuazione della norma, con le inevitabili incognite di un percorso del tutto  inedito.

Per la preparazione delle Assemblee continentali la Segreteria del Sinodo ha interpellato le Riunioni internazionali di Conferenze episcopali, presenti in quasi tutti i continenti. La più nota e attiva tra queste Riunioni è il Celam (Consiglio episcopale latino-americano), costituito  nel 1955, che ha svolto finora un ruolo prezioso nel recente cammino – insieme difficile ed entusiasmante – delle Chiese dell’America Latina, propiziando l’emergenza di una coscienza ecclesiale comune.

Proprio questo è, in fondo, lo scopo delle attuali Assemblee continentali: rileggere il cammino sinodale a livello macro-regionale, per far affiorare le istanze peculiari delle culture ed evitare che la grande “macchina” del Sinodo universale “asfalti” le differenze locali, disattendendo  le aspettative dei popoli in cui «si incarna» l’unico popolo di Dio3. Si tratta dunque di un grandioso sforzo di inculturazione del tema sinodale, nella consapevolezza – ben espressa da papa Francesco – che «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio  generale [...] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato»4.

La promessa delle “Chiese regionali” per il Cattolicesimo del futuro

A ben guardare, la novità delle Assemblee continentali porta con sé un’ambizione che oltrepassa l’evento della loro convocazione, inscrivendosi con coerenza nel progetto di una Chiesa “più” sinodale: l’ambizione di fare delle “Chiese regionali” un nuovo e autorevole “soggetto”  ecclesiale, funzionale a quella decentralizzazione (o de-romanizzazione) della Chiesa cattolica che papa Francesco ha auspicato fin dal “programma” di pontificato dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium5. Detto in altri termini, è l’ambizione di una Chiesa che realizzi più  compiutamente la sua “cattolicità”, cioè la sua unità multiforme: un’unità che non impone una rigida uniformità, ma integra la diversità delle esperienze, delle sensibilità, delle culture, arricchendo gli uni dei doni degli altri.

Per dirla ancora con Francesco, l’unità cattolica è l’unità del poliedro, non quella della sfera6. Dal Concilio in poi l’istanza delle Chiese regionali si è fatta strada nella voce di quei teologi e pastori che ravvisano in essa una chance per il Cattolicesimo del futuro di fronte  all’insorgenza delle “culture”7. Per certi aspetti, le Chiese regionali potrebbero essere concepite in analogia agli antichi patriarcati, conservati fino a oggi nella Chiesa d’Oriente, che esprimevano – insieme e al di sopra delle province ecclesiastiche – la collaborazione tra le  Chiese di una medesima regione nelle questioni più importanti, dottrinali o disciplinari che fossero: questioni che, per la loro posta in gioco, trascendevano le possibilità di risoluzione delle singole Chiese locali.

Si sa che il Motu proprio di Giovanni Paolo II Apostolos suos, pubblicato il 21 maggio 1998 al termine di un iter redazionale travagliato, attribuisce alle Chiese regionali uno statuto “debole”. Dopo aver attentamente circoscritto le competenze delle Conferenze episcopali,  soprattutto dal punto di vista dottrinale, il documento precisa che i loro raggruppamenti continentali o sub-continentali non sono assimilabili ad esse e perciò non godono di specifiche attribuzioni8. Ecco perché fino a oggi in molti continenti, non esclusa l’Europa con il Ccee  (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) e la ComECE (Commissione degli episcopati dell’Unione europea), l’incidenza delle Riunioni internazionali nel cammino della Chiesa è stata pressoché nulla.

Il discorso sembra divenire indilazionabile, in un tempo in cui gli stati nazionali vanno sempre più associandosi per raggiungere obiettivi di sviluppo economico e progresso sociale che oltrepassano le capacità dei singoli governi. In fondo la stessa crisi ucraina, che ha riportato  la guerra nel cuore del Vecchio Continente dopo oltre mezzo secolo, rilancia con forza l’esigenza di una leadership sovranazionale che consenta all’Europa di interloquire alla pari con le grandi potenze mondiali. L’aspettativa è, in fin dei conti, che anche la Chiesa, se vuole  servire questo mondo nella logica conciliare della Gaudium et spes, assuma l’istanza continentale come via per la sua missione nel Terzo millennio. 

Note

1 L’intervento è accessibile all’indirizzo bit.ly/3JopUed (ultima consultazione 30.01.23).

2 È in particolare l’art. 8 a prevedere «la convocazione di una Riunione presinodale» durante la prima fase del Processo sinodale, quella dedicata alla consultazione delle Chiese particolari: riunione che «può pure tenersi a livello regionale [...], al fine di tener conto delle  peculiarità storiche, culturali ed ecclesiali delle diverse aree geografiche».

3 L’espressione proviene da Eg 115. Cfr. già Lg 9.

4 Discorso conclusivo della XIV Assemblea generale ordinaria (24 ottobre 2015), ripreso in Ec 7.

5 Cfr. Eg 16.

6 Cfr. Eg 236.

7 Cfr. Á. Antón, Local Church and Regional Church. Systematic Reflections, in «The Jurist», 52/1992, pp. 553-576; H. Legrand, Églises locales, Églises régionales et Église entière, in M. Deneken (ed.), L’Église à venir. Mélanges offerts à Joseph Hoffmann, Cerf, Paris 1999, pp.  277-308; M. Wijlens, Exercising Collegiality in a Supra-national or Continental Institution such as the FABC, CCEE, and ComECE, in «The Jurist», 64/2004, pp. 168-204.

8 Cfr. n. 5, nota 33.