Caso Ucraina: un conflitto convenzionale a rischio di catastrofe nucleare

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Il conflitto in corso in Ucraina rischia di trasformare lo spettro di una guerra nucleare in un’opzione reale per effetto delle nuove strategie militari favorite dal progresso tecnologico. I negoziati bilaterali e i trattati multilaterali hanno ridotto, ma non eliminato, gli arsenali nucleari. Una nuova spinta al disarmo nucleare potrebbe allora venire dalla condanna morale per il loro semplice possesso.

L’operazione militare speciale” in Ucraina, avviata da Putin il 24 febbraio scorso, ha scosso improvvisa­mente le coscienze di molti tra coloro che, da troppo tempo, si erano dimenticati che la pace è un bene prezioso, non garantito per sempre, ma che va col­tivato con molta cura e perseveranza. La fine della Guerra fredda tra i blocchi politico-mili­tari Nato/Urss aveva suscitato grandi attese sui possibili benefici che l’intera umanità avrebbe potuto godere dal “dividendo della pace”. Pur­troppo, la storia recente ha proseguito lungo percorsi fin troppo conosciuti di nuovi e ripe­tuti cruenti conflitti in varie parti del mondo, fuori e dentro i confini nazionali. Tuttavia, il conflitto in Ucraina desta preoccupazioni par­ticolari non solo perché avviene in un paese geograficamente e culturalmente vicino, con le tragedie umane che conosciamo, ma, so­prattutto, perché si corre il rischio che pos­sa degenerare, anche accidentalmente, in un catastrofico conflitto nucleare che potrebbe coinvolgerci direttamente.

Rischi di una guerra nucleare
Le preoccupazioni per una deriva nucleare del conflitto nascono innanzitutto, dalle parole intimidatorie pronunciate dal presiden­te Putin nel messaggio televisivo del 24 febbraio scorso in cui, oltre a spiegare al popolo russo le motivazioni dell’“operazione”, esplicitava pure la minaccia di una reazione radicale verso chi avesse tentato di interferire dall’esterno per ostacolarla. Per molti osservatori quelle minacce non erano casuali, bensì coerenti con i principi fondamentali della “dottrina nucleare” russa, aggiornata nel 2020, che prevede il ricorso alle armi nucleari, a fronte di una percepita minaccia esistenziale, anche nel caso di un conflitto con armi convenzionali, come nel caso dell’Ucraina.
Con la successiva messa in stato di allerta delle forze strategiche, Putin ha reso reale il rischio di un impiego delle armi nucleari. Questa minaccia è una conseguenza degli sviluppi del progres­so tecnologico, che ha consentito di realizzare sistemi di lancio migliorati nell’efficienza e nell’efficacia, e la miniaturizzazione di armi nucleari, tali da spingere gli strateghi militari all’elabora­zione di nuove strategie che ne contemplano l’impiego anche in conflitti convenzionali. Ne consegue che l’equilibrio fondato sul principio secondo cui le armi atomiche servono solo a scopo di deterrenza (ci sono, ma non si usano), per evitare la distruzione di massa reciproca, subirebbe un pericoloso effetto destabilizzante.
L’ipotesi di un impiego “tattico” delle armi nucleari sta circolando da qualche tempo con una certa insistenza nelle discussioni tra gli strateghi militari interessati, tanto da indicarla esplicitamente in documenti ufficiali come opzione praticabile anche in un conflitto convenzionale. Il caso dell’Ucraina presenterebbe, secondo alcuni analisti, delle caratteristiche tali da offrire uno scenario funzionale a una sua tragica sperimentazione. In realtà, la strategia militare finora adottata dalla Russia parrebbe seguire una intensificazione (escalation) “controllata” del conflitto, che potrebbe però ricorrere anche all’impiego di armi nucleari “tattiche”, secondo una strate­gia denominata escalation to de-escalation, finalizzata ad aumentare il livello di conflitto per scoraggiare ulteriori aggressioni. Questa strategia (escalation), già sperimentata in Georgia (2008), Crimea (2014) e Siria (2015), consentirebbe alla Russia di dominare gli eventi senza superare la soglia critica che potrebbe innescare, in questo caso, il coinvolgimento diretto della Nato.

Evoluzione degli arsenali nucleari
Confrontando l’evoluzione delle dimensioni degli arsenali nucle­ari nel mondo, si nota una loro drastica riduzione dal picco rag­giunto nel 1986 (circa 64.000 testate atomiche) al livello inferiore di inizio 2022 (circa 12.700). Il possesso quasi assoluto (99% nel 1986 e 90% nel 2022) di tali ordigni è suddiviso tra l’attuale Russia (Urss fino al 1991, da 40.159 a 5977) e Usa (da 23.317 a 5428). Le testate nucleari operative strategiche sono stimate oggi in circa 3600 (3200 tra Russia e Usa, e 400 tra Francia e Gran Bretagna), di cui circa 2000 sempre in stato di allerta, montate su missili intercontinentali e su aerei bombardieri pesanti; quelle “tattiche” sono circa 1900 per la Russia e 100 per la Nato (schie­rate in 5 paesi europei, tra cui l’Italia). Le restanti circa 9100 testate nucleari sono tenute di riserva nei rispettivi arsenali (circa 5700) oppure custodite nei depositi in attesa di essere smantellate (circa 3.400). Oltre ai quattro paesi nuclearizzati citati ve ne sono altri cinque con testate nucleari strategiche: Cina (350), Corea del Nord (20), India (160), Israele (90) e Pakistan (165).
La significativa riduzione degli arsenali nucleari delle due superpo­tenze è stata resa possibile da una serie di trattati bilaterali, a partire dall’accordo sul bando limitato dei test nucleari (Limited Test Ban Treaty - LTBT) del 1963, fino al trattato sulla riduzione delle armi strategiche (New START Treaty - NST) del 2010. Purtroppo, dall’i­nizio del nuovo millennio i rapporti di fiducia tra le due superpo­tenze nucleari sono progressivamente peggiorati tanto da determi­nare il fallimento di una serie di importanti accordi sottoscritti in passato e rendere più faticoso il rinnovo di altri. Per esempio, nel febbraio 2021 scadeva il termine previsto per il rinnovo del New START Treaty, ma l’amministrazione Trump aveva dichiarato di non volerlo rinnovare. Fortunatamente, con l’avvento della nuova amministrazione Biden, è stato raggiunto in extremis un accordo per prorogare la validità del NST fino al 2026. Questo accordo è l’unico, tra i più importanti, ancora in vigore tra Russia e Usa.
Oltre al sostanziale blocco della riduzione degli arsenali nucleari, cresce la preoccupazione per l’avvio di nuovi programmi di ammo­dernamento e di crescita dei sistemi nucleari (compresi i missi­li ipersonici) avviati da 6 dei 9 paesi nucleari (Cina, Corea del Nord, India, Gran Bretagna, Pakistan e Russia). Preoccupazio­ni suscita quello della Cina perché intende quasi quadruplicare l’arsenale atomico (circa 1000 testate) nell’arco di un decennio, completando e rafforzando la propria “triade nucleare” (aviazio­ne, marina, esercito). Le tensioni sul fronte asiatico sono desti­nate ad aumentare sia per le aspirazioni della Cina a confermare e consolidare una leadership mondiale non solo in campo eco­nomico ma anche politico-militare, sia per l’accelerazione della Corea del Nord a dotarsi di missili balistici intercontinentali a testata nucleare.

Possibili sviluppi e implicazioni dei trattati internazionali
Le Nazioni Unite, dal canto loro, sono riuscite a far approvare tre importanti trattati multilaterali connessi agli armamenti nucleari, il primo dei quali, il Trattato di non proliferazione delle armi nucle­ari (TNP) del 1968, è entrato in vigore nel 1970 con la ratifica di 191 paesi. Il secondo è il trattato per la messa al bando totale de­gli esperimenti nucleari (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty, CTBT), considerato una delle colonne portanti dell’architettura del disarmo e della non proliferazione delle armi nucleari, adot­tato dall’Assemblea Generale nel 1996 ma non ancora entrato in vigore per la mancata ratifica di alcuni paesi richiesta da una clausola specifica del trattato. Il terzo trattato, di cui, quasi per ironia della sorte, si celebrava quest’anno il primo anniversario dell’entrata in vigore (22 gennaio 2021), è quello sulla Proibizione delle armi nucleari (TPNW), sottoscritto finora da 86 stati e ratifi­cato da 60. Un trattato, quest’ultimo, davvero importante perché vieta esplicitamente, ai paesi parte, produzione, uso e possesso di armi nucleari. Purtroppo, tra gli oltre 100 paesi non aderenti fino­ra al trattato mancano tutti i 9 paesi nucleari e quelli della Nato, nessuno dei quali ha partecipato ai negoziati per la definizione dell’accordo, approvato il 7 luglio 2017 dall’Assemblea generale con 122 voti a favore. Direttamente interessati al TPNW sono anche i 5 paesi europei della Nato (tra cui l’Italia come ricordato sopra). Pur non essendo un paese nucleare, nell’accezione ristretta del termine, per l’Italia si pone il problema etico del “possesso” delle armi atomiche.

Il problema morale del possesso delle armi nucleari
Tutti i papi dell’era atomica, compreso il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, hanno condannato l’uso e la minaccia dell’uso delle armi nucleari, ma nel magistero di papa Francesco c’è una importante novità: si afferma che «è immorale non solo l’uso ma anche il possesso di questi strumenti di distruzione di massa». Sulla spinta di questo messaggio, il 26 febbraio scorso si è svolta una importante iniziativa promossa da Azione cattolica, Acli, Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari e Pax Christi per una riflessione e un confronto fra tutte le realtà del mondo cattolico che hanno sottoscritto il documento Per una repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari, con cui si rin­nova l’appello al governo italiano a firmare e ratificare il Trattato TPNW.